lunedì 29 novembre 2010

Saviano e la protesta degli studenti

http://www.youtube.com/watch?v=S3jclD2G05E

Elenco dei pensieri di una ricercatrice sul tetto dell'Università di Roma

Elenco dei pensieri di una ricercatrice sul tetto dell'Università di Roma
(legge Francesca Coin, uno dei ricercatori che manifestano contro la riforma dell’Università)

1. Almeno da quassù riesco a vedere l'orizzonte
2. Ci hanno detto che difendiamo i baroni. Ma qui sul tetto non se ne vede uno
3. Dopo dieci anni che faccio ricerca, devo ancora spiegare a tutti a cosa serve il mio lavoro
4. Dicono che i concorsi sono truccati. Per capire se è vero, mi piacerebbe poterne fare almeno uno
5. L'Università di Stato deve dimagrire, così può ingrassare l'Università privata
6. Gli scippi mi hanno sempre fatto paura. Ma non sapevo che si potessero scippare anche le Borse di studio
7. Sui tetti si sogna. Si sogna un'università pubblica, libera e aperta
8. Sono stanca di sentirmi dire che sono troppo giovane, che sono troppo vecchia, che ho pubblicato poco, che ho pubblicato troppo, che sono troppo autonoma, che sono troppo dipendente, che sono stata troppo all'estero, che non ci sono stata abbastanza.
9. Forse vado via da questo paese. Perché non posso più sentirmi inutile dopo tanti anni di ricerca
10. Forse rimango qui. Perché se se ne vanno i ricercatori, portano via il futuro. E senza futuro, il mio paese muore

ricevimento 1 dicemvre 2010

La Dott. Mancini riceve il 1 dicembre alle 9,30 nel suo ufficio.

domenica 28 novembre 2010

Rita Levi Montalcini "Non affondate la ricerca"

Il premio Nobel contro i tagli alla Finanziaria
"La scienza italiana è in pericolo, ecco i responsabili"

L'appello di Levi Montalcini
"Non affondate la ricerca"


di RITA LEVI MONTALCINI
LA SCIENZA nel nostro Paese è in pericolo. Lo sanno bene i 4.500 ricercatori che hanno firmato un appello a non tagliare i fondi in Finanziaria per evitare la fuga dei cervelli. Contemporaneamente sono apparsi sulla stampa diversi attacchi al Consiglio Nazionale delle Ricerche, accompagnati in qualche caso da proposte di radicale trasformazione dell'Ente o addirittura della sua abolizione. Sin dall'inizio degli anni 1970 ho diretto il Laboratorio di Biologia Cellulare del Cnr e anche successivamente in qualità di ospite ho continuato e continuo a svolgere attività di ricerca e sono indignata da questa campagna denigratoria e distruttiva. Pur riconoscendo nell'Ente difetti e carenze funzionali: lentezza e macchinosità delle procedure, elefantiasi della burocrazia, dispersione degli interventi, alta età media dei ricercatori ed altre ancora, non si deve dimenticare che il Cnr ha degli eccezionali meriti per il ruolo che ha svolto nello sviluppo della cultura in Italia.

Due grandi scienziati, Vito Volterra e Guglielmo Marconi hanno presieduto il Cnr dalla sua fondazione, dal 1923 al 1937. Discipline quali la chimica macromolecolare, l'astrofisica, l'informatica, la genetica e biologia molecolari, le neuroscienze, sono state promosse dal Cnr attraverso la creazione dei suoi organi di ricerca in una situazione di quasi totale vuoto nel mondo accademico, grazie alla dedizione di eccellenti scienziati: Natta, Occhialini, Faedo, BuzzatiTraverso, Moruzzi, Erspamer, ecc. Se oggi l'Italia non è assente su scala internazionale in questi settori (anzi, in qualche caso mantiene posizioni di eccellenza) lo deve al perseguimento delle ricerche in quelle discipline.

Indubbiamente, negli ultimi decenni, l'immagine dell'Ente si è appannata a causa dell'ingerenza degli accademici, da una pressione sindacale tendenzialmente antimeritocratica, e da un ulteriore aggravamento burocratico che ha ignorato le finalità scientifiche che sono proprie del Cnr. Il potere politico negli anni scorsi ha infine reagito a questa deriva e ha decretato nel 1999 una radicale riforma della riorganizzazione all'interno del Cnr. Si è pervenuti con tale riforma alla creazione di un meccanismo di valutazione esterna continua e imparziale della validità dell'operato dell'Ente e ad una radicale riorganizzazione della rete scientifica che concentra in circa un centinaio di grandi Istituti le attività prima disperse in oltre trecento strutture di ricerca spezzettati in molti casi in strutture di piccolissime dimensioni.

Ai nuovi Istituti è conferita una grande autonomia scientifica e gestionale (con conseguente forte riduzione della burocrazia centrale) tale da renderli indipendenti da pressioni o esigenze estrinseche alla logica della ricerca scientifica. Completato il quadro di ristrutturazione della rete scientifica, sono stati nominati i primi direttori dei nuovi Istituti. Il presidente Lucio Bianco sta conducendo questa titanica opera di riorganizzazione del Cnr con perizia e dedizione, dibattendosi nelle difficoltà derivanti da resistenze interne ed esterne e dalle ristrettezze finanziarie, dato che i successivi Governi negli ultimi anni hanno tutti lesinato all'Ente le risorse indispensabili anche al metabolismo di base, figuriamoci poi alla realizzazione di un'ambiziosa riforma. Negli ultimi cinque anni l'Ente ha subito un costante calo delle risorse finanziarie del ben trenta per cento!

Desidero esprimere al presidente Bianco tutta la mia stima e l'apprezzamento per l'opera svolta, stima e apprezzamento che rivolgo anche a tutti quei ricercatori dell'Ente che continuano a svolgere la loro attività di ricerca con passione e competenza, date le condizioni di ristrettezza di risorse e di scarsa considerazione pubblica nelle quali sono costretti ad operare. Mi auguro che gli attacchi indiscriminati al Cnr da parte degli accademici o quelli che giungono da altre direzioni, vengano a cessare in quanto possono provocare la distruzione dell'Ente con gravissimo e irreparabile danno per la cultura scientifica del paese. Desidero fare appello al mondo politico perché prenda coscienza dello straordinario patrimonio culturale e tecnologico che rappresenta il Cnr.

Una eventuale "ventilata" trasformazione dell'Ente in una società per azioni o in altro significherebbe provocare irresponsabilmente l'eliminazione del più importante Ente di ricerca italiano perseguendo modelli inesistenti in alcun paese al mondo, a cominciare da quelli scientificamente più progrediti. E' compito del potere politico, assicurare il progresso culturale, tecnologico e produttivo del paese: deve quindi sostenere il Cnr a completare la sua riforma fornendogli le risorse necessarie.

Un primo intervento dovrebbe consistere nell'eliminazione del blocco delle assunzioni di ricercatori previsto dalla Finanziaria, un provvedimento che è in assoluto contrasto colla proclamata volontà di accrescere il valore della ricerca italiana e che non comporta alcun risparmio in quanto le assunzioni del personale Cnr avvengono comunque all'interno del suo bilancio. E' imperativo che l'Italia si collochi, a livello internazionale, in una posizione più adeguata al capitale umano e alle risorse delle quali dispone. Un'eliminazione dell'Ente porterebbe ad un umiliante e ulteriore degrado scientifico del paese, in quanto ne provocherebbe l'uscita dalla competizione scientifica a livello internazionale.

(11 dicembre 2001)

venerdì 26 novembre 2010

Finalmente gli studenti si fanno sentire...

''Finalmente si fanno sentire''.



Questo, ai microfoni di CNRmedia, il primo commento dell'astrofisica Margherita Hack sulle proteste studentesche contro la riforma Gelmini.



''Una rivolta di tutto il mondo studentesco, dei docenti, dei ricercatori, era necessaria -continua Margherita Hack- si sta distruggendo un bene fondamenalte per il futuro del paese. Solo un governo di ignoranti puo' pretendere di agire in qusto modo. Gli studenti non manifestano a favore dei baroni, come dice la Gelmini, ma a favore di se stessi, dell'universita'''. E aggiunge: ''L'universita' non e' un covo di gente messa in cattedra per favoritismi. Certo, ci sono episodi di questo tipo, ma sono episodi. In cattedra c'e' molta gente valida. E lo prova il fatto che quando i nostri giovani emigrano, all'estero fanno fortuna e si trovano bene. Il che dimostra che la preparazione delle nostre universita' e' buona''.



''Di questa riforma - continua la Hack - mi preoccupa enormemente il fatto che si voglia fare dei ricercatori dei precari a vita. Gia' son pagati male, se poi gli tolgono il contratto indeterminato e' la fine. Grave poi il fatto di voler burocratizzare i ricercatori, di mettere i privati nei consigli di amministrazione. L'universita' si deve occupare di ricerca pura. Non si deve trattare come un'azienda. Come diceva Calamandrei, e' un ente costituzionale e come tale va trattato. Agli studenti voglio dire: andate avanti''.



http://www.asca.it/news-UNIVERSITA___MARGHERITA_HACK__FINALMENTE_STUDENTI_SI_FANNO_SENTIRE-969927-POL-1.html

L’Università fatta a pezzi.

L’Università fatta a pezzi.

di Giorgio Lo Feudo



Tutto è iniziato da quando, dopo tangentopoli, si è insediato un po’ ovunque il maledetto virus dell’aziendalismo. Grazie all’incapacità culturale di alcuni neo-politici, sedicenti statisti, si è sparsa in Italia la pericolosa filosofia del fare, la quale, anziché contrapporsi al vacuo e improduttivo dire, ha mortificato e quasi del tutto eliminato la facoltà di pensare. Fare, senza riflettere e senza chiedersi nulla sul dopo. Il ministro Gelmini ha sposato in pieno tale orientamento e la società tutta, ne pagherà le conseguenze. Entriamo nel merito. Il Senato accademico, organo che oggi coordina le attività didattiche, con il ddl Gelmini assumerà funzioni meramente consultive. Quasi tutti i suoi obblighi ricadranno sul Consiglio di amministrazione, il quale, ovviamente, li gestirà non più con occhio accademico ma con sguardo imprenditoriale. Le Facoltà verranno pian piano soppresse e sostituite da macro-dipartimenti che, guidati da un gruppo di ordinari, svolgeranno i compiti che oggi, in maniera pluralista e democratica, le stesse disimpegnano egregiamente. Gli studenti, i pochissimi che otterranno finanziamenti, alla fine dei corsi li dovranno restituire. Gli aspiranti professori, dovranno conseguire un’abilitazione nazionale, scandalosamente a termine, e poi sperare che le Università li immettano velocemente in ruolo. Infine, i ricercatori anziani; essi restano al palo, con un enorme peso didattico sulle spalle. Messi “ad esaurimento”, rischiano di divenirlo sul serio. Cosa resta da fare? Con la politica più nulla. Semmai con la magistratura. Bisognerà attrezzarsi a dovere e, a legge purtroppo approvata, promuovere ricorsi, class action e quant’altro possa consentire ai giudici, per fortuna autonomi e imparziali, di porre rimedio alle iniquità ed alle illegittimità, anche costituzionali, che il DDL Gelmini contiene.

giovedì 25 novembre 2010

Orgoglio senza pregiudizio

Sono ORGOGLIOSA degli studenti italiani che ho visto in tivù e di cui ho letto sui giornali!!!!! Mi ridate la speranza e il desiderio di lavorare per voi......

mercoledì 24 novembre 2010

Urgente: Petizione del Coordinamento Nazionale Associati e della Rete29Aprile

Il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati (CoNPAss) e la Rete29Aprile hanno appena diffuso una Petizione/Lettera aperta a Rettori, Presidi, Direttori di Dipartimento e Presidenti CCS delle università italiane (disponibile, tra l'altro, su http://petizioni.conpass.it), in cui si chiede loro di:
*prendere una chiara ed esplicita posizione CONTRO l'approvazione del ddl
Gelmini*
*e*
*minacciare (e poi, eventualmente, mettere in atto) le dimissioni dalle loro
cariche in caso di approvazione del ddl.*

In assenza di risposte, si prevedono *
ADEGUATE E CONSEGUENTI INIZIATIVE DI DISSENSO E OPPOSIZIONE,*consistenti tra
le altre:
(*) nell'astensione a tempo indeterminato da tutte le attività didattiche
non obbligatorie;
(*) nella presentazione di mozioni di sfiducia nei confronti delle cariche
di governo dell'ateneo che con il loro comportamento (attivo od omissivo)
avranno avallato l'approvazione del ddl;
(*) in azioni concertate e collettive di non collaborazione negli organi
collegiali, compresa reiterata verifica dell'esistenza del numero legale e
dei quorum di deliberazione, fino all?extrema ratio dell?ostruzionismo e
dell?eventuale astensione dalla partecipazione ai consigli.

Vi invitiamo a prendere visione della petizione disponibile, tra gli altri,
all'indirizzo http://petizioni.conpass.it e, se la condividete, a
sottoscriverla il più rapidamente possibile.
Non c'è più molto tempo prima della definitiva approvazione del ddl (pare
sia calendarizzato l'ultimo passaggio in Senato per il 9 dicembre), quindi
sarebbe necessario diffondere il più possibile la petizione nei
dipartimenti, tra i colleghi di tutte le facoltà, chiedendo a tutti di fare
il massimo sforzo per dare la massima diffusione alla petizione nel più
breve tempo possibile.

*Inoltre,* coloro che gestiscono un sito o anche una semplice pagina web,
possono incorporare il codice qui appresso in una pagina, vedendo in tal
modo comparire il testo della petizione e il modulo per sottoscriverla.


https://spreadsheets.google.com/embeddedform?formkey=dDV1eXdXR0g2UjUyTExVOWUtX253UVE6MQ"
width="760" height="694" frameborder="0" marginheight="0"
marginwidth="0"

Il tempo è scarso e le firme devono essere tante!

La risposta del senatore Valditara alla lettera aperta del ricercatore Guido Mula

La risposta del senatore Valditara alla lettera aperta del ricercatore Guido Mula

Cari amici e colleghi, nei mesi scorsi ho incontrato diversi esponenti del mondo universitario e ho ascoltato le loro osservazioni. Grazie a questo dialogo, che ho sempre considerato importante, siamo riusciti a migliorare molti punti rispetto al testo originario del ddl. E’ scomparsa fra l’altro quella ingiustificata e iniqua discriminazione che avrebbe penalizzato per l’avvenire la posizione dei ricercatori a tempo indeterminato rispetto ai nuovi ricercatori a contratto proprio sul delicato versante del passaggio al ruolo di associato.

La legge che il Parlamento si appresta ad approvare non è certo una riforma epocale, ma contiene novità importanti. Voi sapete che su alcuni punti le nostre posizioni sono differenti. Su una questione siamo tuttavia senz’altro d’accordo: la necessità di dare prospettive concrete di carriera a tutti coloro, e sono la maggioranza dei nostri studiosi, che fanno buona ricerca. La riforma avrebbe dovuto essere accompagnata da un significativo stanziamento di risorse, e dalla eliminazione del blocco del turn over per le università virtuose.

Noi di Fli ci siamo battuti, e ancora oggi in una riunione a tratti molto tesa con i rappresentanti del Governo, per garantire: una ricostituzione dell’Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) drammaticamente tagliato per il 2011; un numero di posti adeguato per coloro che conseguiranno l’abilitazione a professore associato (1.500 posti l’anno); il ripristino degli scatti meritocratici di stipendio, il cui taglio, se confermato, penalizzerebbe in modo devastante la posizione economica dei giovani ricercatori, dei giovani associati e dei giovani ordinari: 500 euro lordi in meno al mese. Queste nostre richieste, al cui accoglimento abbiamo condizionato il via libera alla riforma, sono state in buona parte accolte. Manca tuttavia l’idea di fondo e più importante: la considerazione della centralità della ricerca e dell’istruzione. Siamo di fronte ad un Governo che non fatica a trovare le risorse per pagare le multe sulle quote latte, ma che snobba le richieste di maggiori investimenti per due settori strategici per lo sviluppo del Paese; un Governo che accetta misure che sono il minimo indispensabile per garantire l’ordinato svolgimento delle attività accademiche solo sotto la minaccia di affossare la più importante riforma di questa legislatura. Manca insomma la consapevolezza che la competitività dell’Italia passa innanzitutto dalla qualità della nostra ricerca. E’ partendo da queste premesse che il vostro ed il nostro impegno possono trovare una saldatura nel prossimo futuro.

sen. Giuseppe Valditara,
vicecapogruppo Fli

lunedì 22 novembre 2010

Atenei, la riforma bluff arriva in Aula priva di tutto

Atenei, la riforma bluff arriva in Aula priva di tutto
di Maristella Iervasi

Non c'è un euro in più per l'Università. Non ci sono i soldi per assumere i 9 mila professori associati in sei anni, la cosidetta norma salva riceratori. E' sparito l'importo minimo di 20mila euro per gli assegni di ricerca, unica fonte di sostentamento per molti precari. Ed è stato tolto anche il fondo per il merito accademico che prevedeva la valorizzazione economica dei dipendenti (docenti e ricercatori) migliori. La legge Gelmini di riforma degli Atenei italiani è stata svuotata di tutto: dal provvedimento sono state eliminate tutte le norme che comportano una spesa. L'ordine di Tremonti è stato ascoltato alla lettera. Ma la ministra 'unica' dell'Istruzione, come al solito, è soddisfatta, perchè la maggioranza ha fatto quadrato e ha licenziato il provvedimento per l'Aula. Ma il testo -che approda domani - è uscito dalla commissione Cultura di Montecitorio 'sterelizzato' di tutto le voci di spesa. Insorgono le opposizioni, Pd in testa. E anche i finiani annunciano battaglia, perchè l''intoppo' non è mica solo finanziario. Aveva proprio ragione Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil, nel gridare ai quattro venti il rischio del commissariamento degli Atenei. E così è.

COMMISSARIATA LA GELMINI
Ai fininani non piace proprio l'aggiuta fatta all'art.25 del ddl che, di fatto si traduce in un commissariamento dell'Istruzione da parte di quello dell'Economia. «Il ministro dell'Università, secondo una delle vergognose modifiche introdotte - spiega Pantaleo -, provvede al monitoraggio degli atenei e riferisce al ministro dell'Economia il quale interviene 'con proprio decreto' per modificare gli stanziamenti in bilancio a favore dell'università». Scalpitano i fininiani: 'Senza i nostri voti - sottolinea Fabio Granata - la riforma non passa. Ci sono da risolvere nodi politici ed economici'. Una dichiarazione che suona come un ultimatum: 'Senza copertura - sottolinea Granata - proporemo di rimandare il voto sulla riforma a dopo il 10 dicembre".

La relatrice Paola Frassinetti (Pdl) auspica che le risorse mancanti si trovino. 'I punti di forza sono rimasti tutti" - sottolinea. Ed eccola l'ossatura del (vero) provvedimento Gelmini: governance, fondo per il merito, accreditamento degli atenei, abilitazione nazionale.. Sulle risorse in Finanziaria conta assai poco il Pd.

LA QUESTIONE DEI RICERCATORI
L'emendamento proposto dalla relatrice prevedeva che in sei anni 9 mila ricercatori potessero diventare associati; secondo quanto previsto nella legge di stabilità ne verrebbero 'sistemati' 1.500 l'anno, che in tre anni fa la metà di quanto previsto.

"NON C'E' UN EURO"
Manuela Ghizzoni, Pd: "Per l'università non c'è un euro in più. Ci sono piuttosto 276 milioni di euro in meno rispetto a quest'anno. Ne mancavano 1.076, ne vengono restituiti solo 800 e il conto e presto fatto. Per il prossimo anno, inoltre - sottolinea la parlamentare democratica - ne sono previsti 500. Senso di responsabilità imporrebbe un rinvio della discussione in aula e un dialogo con le opposizioni e con chi sta protestando".

PROTESTA E APPELLI
Mentre la Confindustria insiste nel chiedere al governo l'"approvazione veloce della riforma", si mobilita tutto il settore della Conoscenza contro la legge Gelmini. Docenti e ricercatori (Rete29aprile, Conpass) insieme alle associazioni studentesche (Udu e link) hanno lanciato un appello all'opposizione: "Se si arriva al voto in aula e non vi sono speranze di voti contrari, siate onorevoli, non restate lì: uscite dal luogo in cui si sta compiendo questo delitto. Non legittimate con la vostra presenza il definitivo affossamento dell'università pubblica. Scendete in piazza, noi saremo lì".

BLOCCO DELLE LEZIONI
"Ecco l'esemplificazione del grande bluff" - dice Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil. "La maggioranza ammette che nella Finanziaria non ci sono le risorse per sostenere anche quelle migliorie minime introdotte in commissione Cultura e pur di andare avanti le abroga tutte. In particolare si colpiscono ancora una volta i giovani ricercatori, i precari e gli studenti. Scompare infatti il ripristino degli scatti di anzianità. Si cancellano dai livelli essenziali delle prestazioni che lo stato deve garantire per il diritto allo studio i seguenti riferimenti: borse di studio, trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi. si elimina l'aumento per gli assegni di ricerca si cancella la norma che prometteva ai ricercatori la possibilità di diventare associati». «Tutta l'università deve ribellarsi a questo scempio - conclude Pantaleo -. Mercoledì davanti a Montecitorio si svolgerà una grande manifestazione, ma da subito chiediamo che si blocchino tutte le lezioni e si denunci al paese questa vergogna».

domenica 21 novembre 2010

CATTIVE NOTIZIE: Il DDL Gelmini è peggiorato!

CATTIVE NOTIZIE: Il DDL Gelmini è peggiorato!

Cattive notizie!

La Gelmini ha disatteso gli impegni presi in pubblico ed è ha eliminato perfino alcuni miglioramenti che erano stati introdotti dalla commissione Cultura.

Le esigenze della propaganda per il ministro vengono prima dei diritti degli studenti, dei ricercatori e dei professori. A seguire si è riunita la commissione Culturae abbiamo assistito a una scena penosissima.

I deputati della maggioranza hanno dovuto fare una sorta di abiura approvando ben 34 emendamenti abrogativi di norme che essi stessi avevano votato solo qualche settimana fa’.

Riassumo di seguito i contenuti più importanti di tali emendamenti.

Solo chi muove da un radicato disprezzo verso l’università può portare all’approvazione i seguenti peggioramenti:

- eliminazione del ripristino degli scatti di anzianità per i giovani ricercatori sbandierato dalla Gelmini in tante televisioni (art. 5 bis del testo approvato in commissione Cultura)

- definanziamento degli incentivi per l’internazionalizzazione del sistema universitario e in particolare per insegnamenti o corsi di studio che si tengono in lingua straniera (art. 2, comma 2, lettera l)

- possibilità di assorbimento da parte del ministero dei risparmi generati da eventuali fusioni di atenei, dopodiché non si capisce con quali incentivi si realizzeranno tali processi (art. 3, comma 3)

- soppressione del trasferimento dei beni demaniali in uso agli atenei (art. 3bis)

- obbligo di restituzione dei buoni studio anche da parte degli studenti che hanno ottenuto il massimo dei voti (art. 4, comma 1, lettera b)

- cancellazione nella definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) per il diritto allo studio dei seguenti obiettivi: borse di studio, trasporti, assistenza sanitaria, ristorazione, accesso alla cultura, alloggi; dopodiché non si capisce che cosa rimanga (art. 5, comma 6, lettera a)

- nei passaggi di livello eliminazione dell’aggancio alla classe quarta per la rivalutazione iniziale che era stato introdotto a parziale compensazione della mancata ricostruzione di carriera (art. 8, comma 3, lettera b)

- definanziamento della retribuzione integrativa per i ricercatori che svolgono didattica o attività gestionali (art. 9 comma 01)

- eliminazione della soglia minima di 20 mila euro annui per gli assegni di ricerca (art. 19, comma 6)

- ammissione che non si tratta di una vera tenure track poiché la conferma di ruolo è condizionata con norma esplicita alla disponibilità delle risorse (art. 21,comma 5)

- mancato riconoscimento delle prestazioni dei contratti a tempo determinato ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza (art. 25, comma 10quater)

- cancellazione della norma relativa ai concorsi per associato che non ha copertura finché non viene approvata al Senato la legge di stabilità.

La perla finale è il commissariamento del ministro Gelmini contenuto nell’ultimo emendamento (art. 25, comma 11 bis). Il ministro dell’Università, secondo la norma introdotta, “provvede” al monitoraggio degli atenei e “riferisce” al ministro dell’Economia il quale interviene “con proprio decreto” per modificare gli stanziamenti in bilancio a favore dell’università. E’ un linguaggio mai utilizzato nella legislazione italiana. Mai prima d’ora, infatti, erano state introdotte norme che subordinano un ministro rispetto a un altro, dal momento che la Costituzione ne stabilisce la parità di rango. Se fosse solo un problema personale potremmo dire che la Gelmini se l’è cercata e non saremo certo noi a compiangerla. Ma qui è in gioco una questione istituzionale che riguarda in ultima istanza la libertà universitaria. Doveva essere una riforma epocale. Oggi non è più neppure un disegno di legge. E’ una doppia ordinanza di commissariamento. Gli atenei sotto il comando del ministero dell’Università e questo sotto il ministero dell'Economia.

venerdì 19 novembre 2010

fermate il DdL Gelmini – L’alternativa politica riparta dalla questione dei saperi

Appello all’opposizione parlamentare: fermate il DdL Gelmini – L’alternativa politica riparta dalla questione dei saperi

di Anna Carola Freschi, mercoledì 17 novembre 2010,


Nel 2005 il movimento dei precari contro la Moratti, nel 2008 l’Onda degli studenti, quest’anno (finalmente!) il movimento dei ricercatori ‘strutturati’. Sono questi i movimenti che negli ultimi anni hanno illuminato la realtà, spesso inquietante, del lavoro nell’Università italiana. Che in Italia la ricerca e i ricercatori siano drammaticamente sotto-finanziati rispetto ai paesi OCSE è una cosa grave che però, tante le volte che è stato detto e ridetto, non fa più notizia.

Ciò che la protesta dei ricercatori ha messo in luce, e che da ora in avanti non potrà più essere taciuto, è che l’offerta formativa delle università italiana si è retta in questi anni in grandissima parte (oltre un terzo) sul lavoro di una massa di ricercatori, strutturati (24.000) e non strutturati (si parla di almeno 40.000 persone tra i 30 e i 40 anni). Lavoro spesso gratuito o pagato simbolicamente; spesso reso ‘obbligatorio’ da regolamenti locali in palese contrasto con la normativa nazionale (W l’autonomia!). In pratica, con la scusa dell’autonomia, si è nei fatti creato un sistema di arbitrio feudale nella gestione del lavoro accademico.

Sono stati i 10.000 (www.rete29aprile.it) ricercatori strutturati italiani (quasi la metà del personale in questo ruolo) che quest’anno hanno dichiarato di essere indisponibili a svolgere compiti didattici non previsti dalla legge a squarciare il velo dell’ipocrisia che regna, a più livelli, nell’accademia italiana. Corsi di laurea importanti sono stati spazzati via dalla protesta o ‘aggiustati’ alla bell’e meglio, perdendo la loro fisionomia e la loro coerenza. Questa decisione, non di scioperare ma di avvalersi di un diritto, ha quindi prodotto una forte lacerazione dentro le università, ha provocato in non pochi casi le reazioni dei vertici accademici, portandoli ad esercitare pressioni indebite sui ricercatori perché, zitti e buoni, tornassero in aula o adottassero forme di protesta compatibili con il funzionamento delle facoltà. Insomma, la protesta potete dichiararla, anzi siamo tutti con voi! Quanto al ‘farla’, pensateci bene. Addirittura si è detto alle ricercatrici ed ai ricercatori indisponibili di tornare in aula per senso di responsabilità verso gli studenti e verso la Facoltà (“le matricole scappano negli atenei vicini, facciamo il gioco della concorrenza!”). Ma quale studente vorrebbe che i propri genitori andassero al lavoro, fossero minacciati di ritorsioni sulla carriera se non accettano di fare di più di quel che devono? Quali vorrebbero che i loro genitori, ne bel mezzo di un pesante taglio stipendiale, svolgessero mansioni per cui non sono pagati e non hanno un riconoscimento? Oppure l’idea è che i giovani si debbano adattare a questa idea generale, a partire dalle loro madri, dai loro padri, da loro stessi, ‘fabbricati’ per il precariato in un paese che ha perso la sua dignità? Quali studenti vorrebbero istituzioni pubbliche, le università appunto, che agiscono ai margini della legalità o che la violano esplicitamente? E’ anche su questi aspetti che si decide se proiettare il Paese nel futuro o sprofondarlo nel passato (feudale).

Son ben poche le università in cui la protesta dei ricercatori strutturati non ha attecchito. Nelle sedi storiche, più importanti, in quelle delle grandi città, la protesta ha coinvolto l’intero mondo universitario, in particolare studenti, precari, ma anche associati, ordinari, amministrativi, qualche rettore ‘dissidente’ rispetto ai canoni CRUI, personalità del mondo della cultura, in una reazione corale contro un progetto che vorrebbe l’università fortemente ridimensionata, svilita nelle proprie funzioni pubbliche, privata di strumenti di autogoverno che possano dirsi tali, assoggettata a ‘manager’ (le virgolette sono dovute) secondo il triste modello invalso nella sanità pubblica. Una università in cui, spazzata via la figura del ricercatore a tempo indeterminato, la prima fase della carriera scientifica – già oggi per molti interminabile – si svolge interamente sotto i vincoli della precarietà. Una università in cui il diritto allo studio è stato geneticamente mutato in accesso agevolato al debito: dove quindi gli studenti meritevoli ‘ma privi di mezzi’ saranno costretti a cedere il quinto dello stipendio prima di averne (chissà quando) uno. Una università in cui tutto il potere è concentrato nelle stesse irresponsabili mani che l’hanno gestita finora.

E’ sempre più chiaro che questa riforma è contro l’università pubblica, contro chi ne vuole il rilancio e la trasformazione in senso progressista. E’ una università che non sa niente delle condizioni sociali e culturali per produrre innovazione e cultura, è una università intrinsecamente diseducativa. Del tutto irrisorio il fatto che Tremonti rimetta sul piatto le stesse risorse che poco prima ha tolto, dando ulteriore prova di essere un maestro della finanza creativa. Risorse insufficienti ad affrontare i problemi dell’università, che invece proprio la crisi economica, culturale e morale del paese richiederebbero di affrontare con decisione. Crisi, beninteso, di cui questa università malata, da cambiare, prodotta da un lungo periodo di profonda incuria e scorribande riformatrici, è un pezzo emblematico.

Se è vero che il paese ha bisogno di un forte ricambio generazionale e culturale, di un cambio di prospettiva e di passo, questo non può che cominciare dalla valorizzazione della scuola, della formazione, della ricerca e non può che ascoltare la voce di coloro che con la mobilitazione diretta, nelle scuole, nelle piazze, nelle fabbriche, sui tetti e sulle gru, nelle università, all’Isola dell’Asinara come a Pomigliano, in Val di Susa come a L’Aquila o a Terzigno, mamme vulcaniche e forum per l’acqua, si sono assunti una responsabilità che va molto al di là del proprio semplice, individuale, pur legittimo, interesse e ruolo di cittadini e di produttori.

Eppure, nonostante la mobilitazione in corso da mesi negli atenei italiani, il DdL sta per entrare alla Camera per essere ‘discusso’ (anche qui le virgolette sono d’obbligo) per una rapida approvazione. Tutto ciò è surreale. Un governo coi giorni contati, bloccato su qualsiasi altro progetto legislativo, non sembra ancora rinunciare a condurre in porto questa controriforma, tanto è grande l’arrogante sicurezza che i cittadini di questo paese non siano in grado di capire e difendere le ragioni della cultura, della ricerca, dei beni comuni e dei loro produttori. Questo governo ha finora rifiutato un confronto vero con le istanze della mobilitazione. E a Cortona, mentre dichiarava che il Governo aveva le ore contate, nello stesso tempo Fini sottolineava quanto il FLI tenga alla riforma universitaria della Gelmini.

In questo contesto, l’opposizione parlamentare non può in nessun modo accettare che questa riforma contro il sapere sia approvata da una maggioranza sfiduciata persino da se stessa. L’Università merita una riforma vera e condivisa con il mondo universitario concreto: non con la CRUI, suo distorto ologramma; ma piuttosto con i ricercatori, strutturati e precari, con le nuove leve dell’apparato tecnico-amministrativo, che sono l’università di domani, e con gli studenti, il futuro del paese.

Se l’opposizione parlamentare vuole realmente costruire un’alternativa per il paese parta da qui. In questa situazione politica, non si può varare una riforma che pretende di essere strutturale (di fatto lo è, ma andando nella direzione dello smantellamento dell’università pubblica statale e dell’istituzionalizzazione dei suoi mali). Dichiarazioni pubbliche, emendamenti e voto contrario non bastano. Si dimostri limpidamente, nei fatti, di fronte a tutto il paese e all’opinione pubblica internazionale che il parlamento è diviso su questioni strategiche di grande rilevanza collettiva, e non solo sulle vicende private del Presidente del Consiglio. L’opposizione parlamentare chieda con forza e determinazione il ritiro del DdL, esca dall’Aula al momento del voto, rendendo esplicite le responsabilità politiche di ciascuno. In questo frangente politico, le opposizioni ne hanno tutti gli argomenti e le ragioni. Se così non fosse, questa macchia riapparirà su qualunque vestito ‘buono’ ci si prepari ad indossare. Se si tiene al futuro del paese, ci si assuma la responsabilità di opporsi con tutte le energie a questa riforma, e quindi di farne un’altra (di cui c’è bisogno) in un nuovo quadro politico, quando l’alternativa avrà preso corpo e, si spera, ci saranno le condizioni per avviare un dialogo con tutte le forze sane del paese.

Anna Carola Freschi (Università di Bergamo) e Vittorio Mete (Università di Catanzaro)

Ricercatori indisponibili

Anna Carola Freschi su http://www.gennarocarotenuto.it

giovedì 18 novembre 2010

L’università e la tentazione dell’ope legis

L’università e la tentazione dell’ope legis
Ogni volta che la gestione della cosa pubblica in Italia genera dei precari o delle situazioni instabili appare l’espressione “ope legis”, ovvero un provvedimento-sanatoria “in forza di legge” e non di merito. Sembrerebbe che tutta la discussione sul come risolvere un problema debba passare tra il mandare tutti a casa o imbarcare tutti, vincolando artificiosamente e falsamente il dibattito alla contrapposizione di due fazioni avverse e inconciliabili. Un esempio viene oggi dal dibattito sulla riforma delle università.

In questi mesi, infatti, si è assistito alla crescita del movimento di protesta contro il disegno di legge “Gelmini” di riforma delle Università, giudicato profondamente inadeguato da una larghissima parte dei docenti universitari, dai precari della ricerca, dagli studenti. Chi si oppone oggi al ddl lo fa perché il testo fa finta di proporre una riforma seria (peraltro mai discussa con le parti in causa se non con i rettori) ma contiene interventi aberranti, tra i quali, per esempio, quelli che riducono il diritto allo studio, quelli che stravolgono il governo delle università esautorando gli atenei dalla propria gestione, quelli che individuano strategie che penalizzano in modo particolare i ricercatori strutturati e precari. Il problema dell’esercito dei 50-100.000 precari, sulle cui spalle ricade una parte fondamentale del lavoro di ricerca e una non trascurabile parte della didattica, è gravissimo. Saranno tutti o quasi mandati via, nonostante l’evidenza che senza il loro apporto le università non sarebbero in grado di funzionare.

Tra coloro che protestano ci sono anche i ricercatori universitari, che hanno scelto di rendersi indisponibili a tenere i corsi, cosa che non fa parte delle loro mansioni, mettendo a nudo il fatto che l’Università italiana si è retta per anni sul volontariato di persone che non hanno la docenza tra i propri compiti ma che, di fatto, reggono circa il 40% della didattica su base nazionale.

L’azione di protesta dei ricercatori universitari, che si sono coordinati su base nazionale con la “Rete 29 aprile”, ha comportato in moltissimi atenei il caos: anni accademici rinviati, corsi sovraffollati, docenti sostitutivi reperiti in tutta fretta e spesso inadeguati alla bisogna. Insomma, gli indisponibili hanno svelato d’un colpo il mistero di un’Università che secondo le statistiche internazionali (OCSE per esempio) è già ora gravemente sottofinanziata e a corto di personale, ma che nonostante ciò riesce a fornire un ottimo livello di preparazione agli studenti (a tutto beneficio, purtroppo, dei paesi esteri) e a ben figurare nelle classifiche internazionali di produttività scientifica.

Ed ecco che riappare a questo punto, puntualmente, la parola “ope legis”, utilizzata ad arte come arma nei confronti di chi protesta. Si preferisce screditare chi protesta attribuendo loro (sia ai precari della ricerca che ai ricercatori universitari) la volontà di ottenere un provvedimento di inquadramento in ruolo o di promozione “ope legis” piuttosto che provare a discutere nel merito delle loro proposte di modifica, che non vengono mai neppure citate. I detrattori del movimento degli indisponibili (tra cui l’ineffabile Oscar Giannino) non perdono occasione per ribadire, con grande certezza, che le proposte di riforma di migliaia di ricercatori sarebbero solo un gigantesco specchietto delle allodole: nasconderebbero la difesa dello status quo e la segreta aspirazione ad una promozione “ope legis” generalizzata.

I ricercatori in realtà hanno fatto una scelta diversa, la hanno scritta nei loro documenti e la difendono: vogliono essere valutati. Hanno scelto di vincolare qualunque scelta alla propria valutazione perché sono consci delle proprie capacità e della qualità del proprio lavoro e chiedono che l’università sia riformata con questo criterio di base. Per valutare in condizioni di equità serve però che tutto il sistema funzioni: non si può correre solo su una gamba (l’università) mentre l’altra gamba (il lato governativo) sta ferma. Nel disegno di legge non c’è nulla di tutto ciò, trasformando il possibile riconoscimento del merito in un’altra operazione priva di concretezza.

L’Università va riformata, ma la riforma va condivisa, non calata dall’alto come un destino ineluttabile. Ci sono ora tutti i presupposti perché il dialogo vero di riforma possa essere avviato e concluso in tempi brevi, a patto di scendere dal proprio piedistallo e di pensare in termini costruttivi e non di preconcetti. Gli universitari, a partire dai ricercatori, si parlano, si confrontano e avanzano proposte vere. Si può fare, una riforma condivisa, ma purtroppo manca, per ora, la volontà da parte di chi ha il potere di decidere.

lunedì 15 novembre 2010

Gli studenti che debbono lasciare del materiale alla dott. Mancini possono lasciarlo presso il Dipartimento di Linguistica il 16 novembre dalle 9 alle 12. Il ricevimento ci sarà il 24 novembre alle 9 nel suo studio.

giovedì 11 novembre 2010

L'avvio della discussione del DdL Gelmini nell'aula della Camera dei Deputati è stato fissato per il prossimo 18 novembre

L'avvio della discussione del DdL Gelmini nell'aula della Camera dei
Deputati è stato fissato per il prossimo 18 novembre. In realtà si tratta di
una data quanto mai aleatoria, sulla quale pesano le incognite legate alla
gestione autocratica delle risorse da parte del ministro Tremonti e le tante
debolezze interne del governo.

Riteniamo però fondamentale che la settimana prossima veda una forte ripresa
della mobilitazione contro il DdL in tutte le università italiane. La pausa
imposta dalle difficoltà interne alla maggioranza e dai segnali di
opposizione provenienti dal mondo universitario, non ha indotto il governo
alla necessaria riflessione critica. Nessuna proposta è stata recepita,
nessuna obiezione è stata ascoltata. Le ragioni della protesta erano forti
ieri e sono ancora più forti oggi.

Ribadiamo la nostra ferma opposizione ad un DdL che intende cancellare il
carattere pubblico dell'istruzione universitaria, concedere poteri smisurati
alle stesse caste responsabili della cattiva gestione degli atenei negli
ultimi anni, convertire i consigli di amministrazione delle università in
luoghi di lottizzazione i cui seggi saranno spartiti fra amici e sodali del
potente di turno, trasformare il diritto di studio in indebitamento
preventivo, estendere la precarizzazione della docenza e della ricerca
cancellando prospettive e sopprimendo diritti, restringere le prospettive di
carriera di ricercatori e docenti, scatenare insani conflitti fra categorie
a tutti i livelli, dalle facoltà all'interno dei singoli gruppi di ricerca.

Per queste ragioni, sollecitiamo tutte le componenti universitarie e tutte
le sedi locali ad intraprendere iniziative ad ogni livello, chiediamo ad
atenei, facoltà e corsi di laurea iniziative di sospensione della didattica
a partire dal 15 novembre e chiediamo a tutti gli universitari di aderire
allo sciopero nazionale del 17 novembre.

Coordinamento dei Precari della ricerca e della docenza - Università
Rete 29 Aprile

38mila Down perdono pensione, ma i parlamentari con 2 anni di contributi no

38mila Down perdono pensione, ma i parlamentari con 2 anni di contributi no

Ecco le pensioni dei parlamentari: soli 2 anni e mezzo di "lavoro" per averne diritto. Sono 1.377 ex deputati, 861 ex senatori, oltre a mille vitalizi di reversibilità pagati ai familiari di parlamentari scomparsi, a percepire una pensione che va da 3mila a oltre 9mila euro mensili. Sul sito de l'Espresso è possibile consultare l'elenco completo dei parlamentari e l'importo della loro pensione, a questo link: http://commenti.kataweb.it/scandalopensioni/index.php . 38mila persone con sindrome di Down, invece, dopo la manovra finanziaria del governo, saranno cancellati. L’articolo 9 della “manovra anti sprechi” sposta la soglia dell’handicap che dà diritto a percepire l'assegno di invalidità di 256 euro al mese, dal 74% all’85% .

Londra: studenti in piazza

11 novembre 2010 | 08:47
Londra: studenti in piazza contro il governo


Londra. Circa 50.000 studenti hanno manifestato ieri contro il raddoppio delle rette universitarie deciso dal governo presieduto dal conservatore David Cameron. Fino ad ora, le spese di iscrizione per gli studenti nelle università britanniche non potevano superare le 3.290 sterline (3.777 euro) per studente e all'anno, ma Cameron intende concedere l'autorizzazione agli atenei per fissarle a 6mila sterline e in "circostanze eccezionali" a 9mila. Da qui le proteste che sono culminate nella manifestazione di ieri che, in gran parte pacifica, è sfociata in scontri con la polizia intorno alle 16 di ieri quando alcune decine di manifestanti sono penetrati con la forza nell'edificio che ospita la sede del partito conservatore, spaccando le vetrate d'ingresso e accendendo falò. A questo punto sono arrivati i reparti antisommossa per sgombrare l'edificio e sono scoppiati gli scontri che hanno provocato alcuni contusi e 32 arresti.

martedì 9 novembre 2010

UN MILIARDO ALL'UNIVERSITA'? NON GIOCHIAMO CON I NUMERI!

COORDINAMENTO NAZIONALE DEI PROFESSORI ASSOCIATI
http://www.professoriassociati.it

COMUNICATO STAMPA
8 novembre 2010

UN MILIARDO ALL'UNIVERSITA'? NON GIOCHIAMO CON I NUMERI!

Il Coordinamento Nazionale dei Professori Associati prende atto con profondo
stupore dell'annuncio del Ministro Giulio Tremonti dello scorso 5 novembre,
secondo cui il Governo intenderebbe destinare nella prossima finanziaria un
miliardo di Euro all'Università.

Quel che purtroppo non emerge dai titoli trionfalistici dei giornali di questi
giorni è che tali somme non costituiscono un finanziamento aggiuntivo, ma
piuttosto semplicemente parziali e del tutto insufficienti restituzioni di una
minima parte dei tagli operati in questi ultimi due anni, e precisamente:
- 700 milioni, oltre tutto previsti unicamente per il prossimo anno,
corrispondono all'incirca alla metà del taglio al Fondo di Finanziamento
Ordinario dellUniversità, con il risultato che gli Atenei statali sconteranno
comunque una riduzione dei propri bilanci di almeno l'8%, con incertezze
immutate già per l'anno successivo. La vera notizia dunque è che 700 milioni
sono l'ammontare del taglio previsto per il 2011!!!
- 200 milioni sono destinati a garantire il diritto allo studio, a ripianamento
dell'incredibile taglio che nel 2010 aveva visto crollare l'importo per gli
studenti a soli 99 milioni (il livello più basso degli ultimi dieci anni!).
Tutto ciò mentre il ddl Gelmini-Tremonti prevede di azzerare il contributo
dello stato agli studenti meritevoli e privi di mezzi, per passare alla logica
del credito agevolato! In un paese dove la disoccupazione giovanile è la più
alta d'Europa e la laurea non serve più a trovare lavoro!!!
- 90 milioni circa serviranno per ridurre (ma solo una-tantum, senza recuperare
i danni permanenti) parte dei tagli alle retribuzioni dei docenti operati lo
scorso luglio e per finanziare una minima parte dei 9000 concorsi riservati a
professore associato promessi ai ricercatori universitari per indebolirne la
ferma contrarietà al ddl Tremonti-Gelmini (con il solito vecchio stile da
"prima repubblica": un tempo si sarebbe detto che "un titolo di cavaliere e un
sigaro toscano non si negano a nessuno", ora semplicemente si gettano in pasto
briciole a pochi aspettandosi che ci caschino tutti, iniziando ad
accapigliarsi).

Il Coordinamento ribadisce che, anche nel caso queste risorse arrivassero,
sarebbero del tutto insufficienti, trattandosi di un recupero parziale dei
tagli già operati, appena sufficiente alla mera sopravvivenza degli Atenei (e
forse nemmeno di tutti). Non si tratta certo dei "fondi per la riforma
dell'università" trionfalisticamente annunciati anche ieri a Cernobbio dal
Ministro Gelmini.
Il vero problema resta il definanziamento del sistema dell'Università e della
ricerca pubblica e un inaccettabile ddl Gelmini-Tremonti, espressione di una
visione verticistica e vetero-baronale degli Atenei, a tutto danno di
autonomia, responsabilità, merito e democrazia.

Il Coordinamento Nazionale
dei Professori Associati
http://www.professoriassociati.it

lunedì 8 novembre 2010

Coordinamento Nazionale Professori Associati

COORDINAMENTO NAZIONALE DEI PROFESSORI ASSOCIATI
http://www.professoriassociati.it

CONTRO IL DDL GELMINI-TREMONTI NASCE IL COORDINAMENTO NAZIONALE DEI PROFESSORI
ASSOCIATI

Si costituirà ufficialmente il prossimo 15 novembre 2010 a Roma nel corso di
un'assemblea nazionale presso l'Università La Sapienza il Coordinamento
Nazionale dei Professori Associati, nato per iniziativa dei docenti di numerose
Università di tutta Italia, tra cui Bari, Cagliari, Genova, Insubria
Varese-Como, Milano Bicocca, Palermo, Roma Tor Vergata, Siena, Torino, Trieste.

Il Coordinamento nasce in risposta alle preoccupazioni dei professori
universitari per le gravi conseguenze che il disegno di legge di riforma
dell'università (c.d. ddl Gelmini-Tremonti) attualmente in discussione alla
Camera dei Deputati avrebbe per l'università pubblica, la ricerca, la
formazione e il diritto allo studio.

Nel manifesto programmatico di indizione dell'assemblea di Roma (il cui testo
integrale è reperibile sul web: http://www.professoriassociati.it) si
sottolinea come il ddl costituisca la chiara espressione di una visione
decisamente verticistica del governo degli atenei
, a danno dell'autonomia e
della democrazia
. L'invasione delle università da parte della politica e di una
visione superficialmente aziendalistica privatizzerà al ribasso il sistema
ponendo le basi per una violazione sia della libertà di ricerca e di
insegnamento sia del diritto allo studio (sanciti dagli artt. 33 e 34 della
nostra Costituzione).

I professori aderenti al Coordinamento condividono le critiche al ddl espresse
con forza dalle migliaia di ricercatori universitari
che hanno dato vita a
molteplici iniziative di mobilitazione, tra cui spicca la Rete 29 Aprile,
nonché dalle più rappresentative associazioni nazionali degli studenti
universitari
. Il Coordinamento adotterà ogni iniziativa utile ad ottenere:
- la modifica sostanziale del ddl Gelmini-Tremonti,
- l'abolizione del sottofinanziamento all'Università,
- l'eliminazione delle penalizzazioni previste per i professori e ricercatori e
per il personale tecnico e amministrativo introdotte con la recente manovra
finanziaria.

Il Coordinamento Nazionale
dei Professori Associati
http://www.professoriassociati.it

Documento stilato dagli studenti di Ingegneria - UNICAL

L'Assemblea degli Studenti della Facoltà di Ingegneria, riunitasi il 26 Ottobre 2010
nell'aula P2 Occupata, successivamente per la grande affluenza spostatasi in aula A,
che ha visto la partecipazione di centinaia di studenti della Facoltà, si è espressa
compattamente e in maniera forte rispetto alla situazione in cui versa l'Università
Pubblica Italiana.
Gli studenti hanno analizzato non solo le conseguenze che sul piano nazionale
vedono il sistema dell'istruzione pubblica, tra cui anche l'università, in ginocchio a causa delle continue vessazioni subite in maniera bipartisan, ma hanno anche
focalizzato chiaramente quelle che sono le conseguenze nella nostra Università e sul
nostro percorso di studi.
Dai dati forniti durante la discussione è emersa una Facoltà con un bilancio ridotto di tre quarti rispetto a quello degli anni passati. Inoltre il diritto allo studio dell'ateneo è letteralmente piegato dal taglio del 65% delle borse di studio, il quale si aggiunge ad un bando di ammissione che conta circa 1300 posti in meno per gli studenti. E siamo ancora all'inizio dei tagli della Legge 133/08 (circa 200 milioni di euro su 1450 totali) a cui si aggiungeranno le nuove decurtazioni previste dalla finanziaria attualmente in discussione.
In questo contesto di affondamento coatto dell'Università Pubblica per opera dei
Ministeri delle Finanze e della Pubblica Istruzione, il governo si prepara a
ristrutturare, o meglio destrutturare, il tutto dall'alto attraverso il DDL 1905
(cosiddetto DDL Gelmini). Portando gli atenei alla fame e incentivando una
campagna mediatica di diffamazione nei confronti dell'Università, il governo intende
celare le sue reali intenzioni. Il DDL 1905, infatti, cavalcando un decennio di pessima gestione dell'autonomia degli atenei, intende far sparire ciò che rimane dell'Istruzione di massa, simbolo del cambiamento dell'intero paese nella seconda metà del secolo scorso.
Al taglio delle borse di studio si intende sopperire coi Prestiti d'onore: quello che fino ad oggi era un diritto per tutti coloro i quali non possono permettersi gli studi superiori, viene trasformato in un debito da contrarre nei confronti di banche e istituti di credito vari. Come succede in altri ambienti della Cosa Pubblica, il bisogno diventa motivo di ricatto e di lucro. Quando pagheremo questi debiti con gli anni di precariato e disoccupazione che attendono statisticamente gli studenti alla fine del proprio percorso formativo?
Inoltre, se già oggi i vertici dell'Università possono permettersi mille scelleratezze, con l'approvazione del nuovo DDL si assisterebbe ad un ulteriore accentramento dei poteri in mano a pochi soggetti. Nello specifico si intende sopprimere il ruolo decisionale che spetta al Senato Accademico in materia di Didattica lasciando ogni decisione in mano al nuovo CDA. Questo sarà composto da massimo 11 membri, tra cui:
- Rettore
- 1 o 2 rappresentanti degli studenti (a fronte dei 3 attuali)
- almeno 3 membri esterni al Sistema Universitario
Questi 3 membri esterni ed il resto del CDA devono essere scelti tra "personalità con
comprovata capacità in campo gestionale", presumibilmente personalità politiche o
"di spicco" nel panorama regionale: possiamo soltanto immaginare chi entrerebbe
nell'amministrazione del nostro Ateneo considerando il contesto calabrese. Al Senato
Accademico non resterebbe altro che il semplice ruolo di formulare proposte e pareri.
In tutto questo gli studenti, ed intere generazioni di giovani italiani, si trovano a
subire unilateralmente le conseguenze di scelte ben precise da parte di una classe
dirigente scellerata tanto tra le stanze dei ministeri quanto tra gli uffici amministrativi degli atenei, i quali, nel migliore dei casi, hanno semplicemente avallato i primi.
Gli Studenti della Facoltà di Ingegneria dell'Università della Calabria, uniti e con
forza, rigettano la manovra in atto e si dichiarano fermamente contrari ai tagli della legge 133/08, ai tagli che stanno emergendo dalla nuova manovra finanziaria ed al DDL 1905 prossimamente in discussione. Nel dichiarare ciò annunciano di
organizzarsi in un coordinamento per pianificare e realizzare attività di informazione, sensibilizzazione e protesta che andranno avanti ad oltranza fino al ritiro dei suddetti.
La necessità di continuare il proprio percorso di studi (lezioni, esami, altre attività), manifestata ovviamente da tutto lo studentato, sia per ragioni prettamente didattiche, quanto per ragioni effettivamente economiche, si unisce quindi alla consapevolezza che quanto sta accadendo al sistema universitario esige una nostra risposta decisa.
È una responsabilità irrimandabile nei confronti delle nostre concrete prospettive di
studio e di realizzazione.
È una responsabilità irrimandabile nei confronti di generazioni e generazioni di
studenti futuri che non potranno permettersi più di studiare nelle Università che non
saremo stati in grado di difendere. Se pensiamo poi al ruolo sociale dell'Università
della Calabria, nata proprio per permettere a migliaia di giovani calabresi di accedere all'alta formazione, come studenti di questo ateneo ci sentiamo ancora più coinvolti in questa ostinata difesa.
È una responsabilità irrimandabile nei confronti dell'intero paese, il quale senza
un'istruzione pubblica e accessibile regredirebbe verso una condizione di ulteriore
arretratezza. Lo sanno bene gli artefici di questo progetto: una popolazione senza
cultura è una popolazione facilmente plasmabile.
Come studenti della Facoltà di Ingegneria non intendiamo difendere l'attuale sistema
di errori e privilegi che caratterizza una parte dell'Università Pubblica Italiana.
Difendiamo però con forza il ruolo fondamentale dell'Università Pubblica,
respingendo qualsiasi provvedimento che ne comprometta la sopravvivenza. Al di là
di proclami e fuorvianti dichiarazioni d'intenti, questa è l'unica reale conseguenza dei provvedimenti sopra citati, i quali rappresentano una organica e pianificata controriforma.
Ci troviamo dunque a difendere quanto abbiamo adesso per avere la possibilità di cambiarlo, in meglio, domani. Questi contenuti continueranno ad essere discussi ed approfonditi nella facoltà, contestualmente alla loro diffusione ed alle iniziative di lotta che intendiamo intraprendere da oggi in poi.
Non abbiamo timore di iniziare una lotta partendo dalle nostre aule, fiduciosi che la
mobilitazione già attiva lungo tutto il paese prenderà presto forza e vincerà questa
importante battaglia del nostro tempo.
STUDENTI DELLA FACOLTÀ DI INGEGNERIA - UNICAL
ASSEMBLEA DEL 26 OTTOBRE 2010

sabato 6 novembre 2010

A chi interessa?

Sono stati pubblicati i bandi per la selezione di“ESPERTI” e “TUTOR” da coinvolgere in attività formative rivolte a studenti di scuola media per il recupero ed il potenziamento delle abilità linguistiche di base ed in particolare delle abilità di lettura.

I due bandi sono stati pubblicati nell’ambito del progetto della Facoltà di Lettere e Filosofia dal titolo "Leggere per capire, leggere per fare", finanziato nell’ambito della L.R.27/1985 con D.D. della Regione Calabria n.7310 del 10 maggio 2010.

Per l’ammissione alla procedura comparativa pubblica è richiesto, alla scadenza del bando, il possesso dei seguenti requisiti:

- essere cittadino italiano, ovvero, di uno degli Stati membri dell’Unione Europea;

- godere dei diritti civili e politici anche negli Stati di appartenenza o di provenienza;

- non aver riportato condanne penali e non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale;

- essere a conoscenza di non essere sottoposto a procedimenti penali;

- possesso del diploma di laurea di cui al vecchio ordinamento, o laurea magistrale di nuovo ordinamento, conseguito nell’ambito dei corsi di laurea delle Facoltà di: Lettere e Filosofia, Scienze della Formazione, Lingue e Letterature Straniere.

La scadenza per la presentazione della domanda di partecipazione è fissata per il mercoledì 24 novembre 2010, alle ore 12.00.

Il testo integrale del bando ed i relativi allegati sono disponibili sul sito:

http://www.unical.it/portale/portaltemplates/view/view.cfm?19163.

CALA IL SIPARIO SUL DIRITTO ALLO STUDIO

da www.lavoce.info
CALA IL SIPARIO SUL DIRITTO ALLO STUDIO

di Federica Laudisa 22.10.2010

Il fondo che finanzia le borse di studio per gli studenti universitari scenderà nel 2011 a 70 milioni di euro dagli attuali 96 milioni, tornando più o meno sui livelli del 1998. In Francia e in Germania la spesa annua per il sostegno agli studenti è di 1 miliardo e 400 milioni. E mentre in altri paesi il pacchetto di aiuti è uniforme su tutto il territorio nazionale, per gli universitari giovani i criteri di ammissione alle borse variano di Regione in Regione e talvolta anche all'interno di una stessa Regione. Perché nessuna voce si leva in difesa del diritto allo studio?

Il diritto allo studio universitario sembra destinato a scomparire nell’imminente futuro nel quasi assoluto silenzio generale. Non c’è nessuna associazione pronta a tentare di salvarlo dall’estinzione. Nemmeno la voce degli studenti – che pure si unisce al coro di protesta di ricercatori e docenti sulla riforma Gelmini e sui tagli al Fondo di finanziamento ordinario – appare forte e compatta su questo punto. L’ala destra della rappresentanza studentesca si smarca perché anche in questo campo l’affiliazione politica conta più della salvaguardia del sostegno agli studenti stessi.

NUMERI INEQUIVOCABILI

I numeri non lasciano dubbi: il fondo che finanzia le borse di studio nel 2010 è pari a 96 milioni di euro, ma nel 2011 sarà di 70 milioni di euro circa: dopo un trend di risorse crescenti – quadruplicate dal 1998 al 2009 – si fa un balzo indietro di una dozzina di anni, a quando il Fondo ammontava a 77 milioni di euro. La vincita al Superenalotto mette a disposizione più risorse.
In Francia e Germania la politica a supporto degli studenti è invece presa sul serio. Su una popolazione di due milioni di studenti, circa mezzo milione beneficia di borsa di studio, per una spesa annua di 1 miliardo e 400 milioni di euro, una cifra da capogiro.
La mobilità studentesca è resa effettiva dalla disponibilità di posti letto, ed è noto che il costo dell’alloggio è quello che pesa di più nel budget di spesa degli studenti fuori sede. Nei due paesi cugini tra i 160 e i 180 mila studenti alloggiano in residenza universitaria, contro i 41 mila dell’Italia. La più alta quota di studenti “casalinghi” che caratterizza il nostro Paese forse non è solo una questione di attaccamento alla famiglia. Se si introducesse un contributo alloggio, un aiuto monetario per l’affitto, come in Francia dove ne beneficiano 700 mila studenti, i supposti “bamboccioni” resterebbero tali?
Due ulteriori elementi contribuiscono ad ampliare il divario con l’estero. In primo luogo, fuori dell'Italia non è concepito, né probabilmente concepibile, lo studente avente diritto alla borsa non beneficiario per mancanza di risorse, caratteristica che da noi riguarda oggi, in media, uno studente idoneo su cinque. In secondo luogo, all'estero gli importi degli interventi e i criteri di accesso, in primis per la borsa di studio, sono uguali per tutti su tutto il territorio nazionale.
Lo studente francese e quello tedesco sanno all’inizio dell’anno su quale pacchetto di aiuti potranno contare iscrivendosi all’università, a prescindere dalla sede di studio. Lo “studente italiano” semplicemente non esiste: in base alla Regione in cui studia, e talvolta anche alla sede di studio all’interno della stessa Regione, accederà o meno a interventi differenti con criteri differenti, sempre dopo aver superato la prova della decifrazione dei bandi. Come si giustifica, ad esempio, che uno studente fuori sede di prima fascia riceva una borsa in denaro di 4.600 euro in Piemonte, 4.100 euro in Lombardia, 2.800 euro in Toscana e 4.090 euro in Puglia e altrettanti variegati importi nelle diverse sedi universitarie? L’uniformità di trattamento non è proprio di casa.

Italia vs Francia e Germania, nel 2008/09
ITALIA FRANCIA GERMANIA
N° studenti universitari 1,8 milioni 2,2 milioni 2 milioni
N° beneficiari di borsa 151.760 525.000 510.000
N° posti letto 40.935 160.000 180.000
Finanziamento statale per borse di studio (euro) 152 milioni 1,4 miliardi 1,4 miliardi


Il diritto allo studio in Italia, quindi, non necessita solo di una forte dose di finanziamenti, ma certo questa è la condizione necessaria perché non scompaia. E il rischio scomparsa è reale se alla scure statale si somma quella regionale. La manovra finanziaria Tremonti, difatti, avrà ripercussioni anche sul sostegno allo studio poiché grava sulle Regioni la spesa per interventi e servizi agli studenti universitari, incluso una quota parte di quella per borse di studio. Èemblematico il caso del Piemonte, una delle poche realtà in Italia in cui avere diritto alla borsa ha sempre equivalso a riceverla, che ha ridotto lo stanziamento all’ente per il diritto allo studio da 25 milioni di euro nel 2009 a 6 milioni di briciole nel 2011 (ma prevede di destinarne cinque in più per i buoni scuola).
Quale rimedio? La crisi in cui versa il Paese sembra non lasciare spazio ad altra risposta che una fatalistica alzata di spalle, ma invece è proprio questo il momento in cui si deve levare alta la voce perché università e diritto allo studio non scendano nella scala delle priorità della politica.

martedì 2 novembre 2010

Così la Gelmini premia i meritevoli!

Solo 26 milioni, insufficienti per i 180 mila meritevoli
La Gelmini taglia il 90% delle borse di studio universitarie
di: Antonio Rispoli

ROMA - Ancora un esempio di come il governo italiano ha deciso di punire i meritevoli della scuola, coloro che hanno eccellenti qualità ma non hanno un padre straricco ed evasore fiscale che paghi loro ogni capriccio. E così i 246 milioni previsti per le borse di studio universitarie, nella finanziaria approvata a luglio, sono stati ridotti a 25,6 milioni. Una riduzione pari a circa il 90%, che dovrebbe essere divisa (ma ancora non si sa come) tra 180 mila ragazzi e ragazze che hanno studiato tanto e bene, ma che hanno un reddito familiare lordo sotto i 17 mila euro. Sia ben chiaro, non sono cifre fantasmagoriche (le assegnazioni sono regionali e vanno dai 1000 ai 2000 euro), ma servono per le spese scolastiche: l'abbonamento ai mezzi pubblici, magari l'affitto per i fuori sede (ma solo per qualche mese), un pranzo o una cena con i colleghi senza andare in mensa scolastica. No, adesso questo non c'è più. E per l'anno prossimo è inutile darsi da fare: saranno disponibili solo 13 milioni, la metà di quanto previsto quest'anno.
E' così decretata la fine di un istituto istituito come assegno universitario nel 1963, limitato ai bassi redditi nel 2001 (oggi si arriva a 17 mila euro lordi, in pratica ad entrate familiari nell'ordine di 1000 euro al mese), ma che era comunque utilissimo. Anche queste sono misure che alimentano l'abbandono universitario, già altissimo, e soprattutto l'ignoranza del nostro Paese, che è degna ormai di un Paese africano, se si considera il termine in una accezione più vasta.