lunedì 28 giugno 2010

ricevimento 1 luglio 2010

La dott. Mancini riceve gli studenti il 1 luglio alle 9 nel suo studio.

CONTRO ddl GELMINI e MANOVRA FINANZIARIA

CONTRO ddl GELMINI e MANOVRA FINANZIARIA
si RAFFORZA la PROTESTA nelle UNIVERSITA’

La manovra-rapina diventerà legge entro la fine di luglio e, nonostante la
bagarre degli emendamenti, il saldo resterà invariato. Lo ha chiarito più
volte il ministro Tremonti che ha mostrato di non voler abbandonare la linea
della durezza contro i dipendenti pubblici che sono per ora le vittime
sacrificate alla crisi provocata da banche, finanzieri e speculatori vari.

Non ci sono investimenti ma solo tagli che peggiorano le condizioni di
sofferenza di tutte le Amministrazioni Pubbliche così come determinate
dalla finanziaria triennale del 2008 (Legge 133/08).

L’Università Pubblica rappresenta un pezzo importante estremamente
“ricco” nel disegno generale di smantellamento dei servizi e dei
lavoratori pubblici a favore dell’interesse e profitto privato.

Mentre la cancelliera Merkel in Germania per contrastare la crisi investe 12
miliardi di euro su Università e Ricerca Pubblica, in Italia si rilanciano
sacrifici, espropri salariali e previdenziali; si tagliano finanziamenti ed
occupazione, addirittura si dimezza il lavoro precario. Solo chi è in
malafede può sostenere la necessità dei sacrifici dei lavoratori per
battere la crisi.

Il DL 78/2010 (manovra economica) e il ddl 1905 (riforma Gemini) sono al
centro di una dura lotta di contrasto che RdB USB sostiene insieme a tutte
le Organizzazioni e le Associazioni dell’Università. RdB USB non è
disponibile, però, ad alcuna mediazione basata sulla ripartizione
“equa” di sacrifici per i lavoratori dipendenti, né su “emendamenti
governativi” che potrebbero accontentare piccoli interessi particolari e
corporativi, ma lasciare inalterato il disegno complessivo di un processo
politico che, oltre a spezzare la schiena a tutti i lavoratori
dell’Università, nega il rilancio dell'Università come motore di
riqualificazione e innovazione produttiva.

Se gli operai, sotto ricatto occupazionale, a Pomigliano hanno la forza e
l’orgoglio di votare NO, da tutte le componenti universitarie pretendiamo
di più, perché in gioco c’è il futuro del sistema dell’Alta
Formazione e Ricerca Pubblica nel nostro paese. Lo dobbiamo agli studenti e
alle loro famiglie, lo dobbiamo ai precari, lo dobbiamo al personale
tecnico-amministrativo e ai docenti “meritevoli” non ai “baroni”
faccendieri, lo dobbiamo ai giovani di talento che in ogni disciplina
scientifica ed umanistica continuano a fare la fortuna degli altri paesi nel
mondo, mentre in Italia continuano a “vincere” vecchi, clientele,
asserviti portaborse, corrotti e corruttori …

ADI, ADU, AND, ANDU, APU, CGA, CISAL, CISL-Università, CNU,
CONFSAL-CISAPUNI-SNALS,
FLC-CGIL, LINK-Coordinamento Universitario, RdB-USB Pubblico Impiego, RETE
29 APRILE,
SNALS-Docenti Università, SUN, UDU, UGL-Università e Ricerca, UILPA-UR

Le Organizzazioni e le Associazioni dell’Università, nel riconfermare il
giudizio negativo sul DDL 1905 sull’Università che l’Aula del Senato si
appresterebbe a discutere e sulla Manovra finanziaria che colpisce
pesantemente l’Università e coloro che vi operano, registrano con
soddisfazione la crescita di una mobilitazione sempre più adeguata alla
gravità della situazione: Organi collegiali e Assemblee hanno deciso o
stanno decidendo forme di protesta che recepiscono le indicazioni delle
Organizzazioni e delle Associazioni universitarie (astensione dei professori
e dei i ricercatori dai compiti didattici non obbligatori per legge e
partecipazione il 1 Luglio alle Assemblee di Ateneo nei Rettorati con
occupazione simbolica degli stessi) e in molti casi vanno anche oltre
(invito alle dimissioni dalle cariche accademiche e sospensione
dell’attività didattica).
Le Organizzazioni e le Associazioni dell’Università, per intensificare la
protesta, indicono dal 5 al 9 luglio una Settimana nazionale di
mobilitazione di tutte le componenti (docenti, precari,
tecnico-amministrativi, studenti) durante la quale, tra l’altro, convocare
Assemblee permanenti di Facoltà e di Ateneo, anche al fine di coinvolgere
pienamente gli studenti.
Si invitano fermamente i Rettori e gli altri Organi accademici a non
intraprendere azioni che in qualsiasi modo ostacolino la protesta.



_________________________________________________________________
USB - Unione Sindacale di Base
Federazione Provinciale di Salerno
www.usb.it
www.salerno.usb.it

martedì 22 giugno 2010

Docenti solidali con i ricercatori

Docenti solidali con i ricercatori
Oltre 500 corsi rischiano di saltare
Quattrocento professori contro la riforma Gelmini

di STEFANO PAROLA

Ora anche i professori dell'Università scendono in campo contro il disegno di legge Gelmini. In 409 hanno aderito alla protesta dei loro colleghi ricercatori che da settimane hanno dichiarato la propria indisponibilità a tenere lezioni nel corso del prossimo anno accademico. Non solo, ma i docenti solidali si sono anche impegnati a non tenere i corsi lasciati scoperti dal personale di ricerca, o almeno a farlo soltanto in minima parte. Dettaglio che mette a rischio tra i 500 e i 700 insegnamenti.

Un appoggio decisivo, quello del personale docente, che aumenta il numero di buchi presenti nell'offerta formativa dell'ateneo torinese. Oggi il rettore Ezio Pelizzetti presenterà le novità sulle immatricolazioni del prossimo anno e cercherà di fare un punto sulle lauree messe a rischio dalla mobilitazione del personale di ricerca. Per adesso a fare un conto provvisorio ci prova Alessandro Ferretti, portavoce dei ricercatori "indisponibili" : "A rifiutarci di insegnare l'anno prossimo siamo in 450, il 53 per cento del totale. Se aggiungiamo i professori che hanno accettato di non coprire la didattica al posto nostro possiamo stimare che come minimo salteranno 500 corsi, ma il numero sale a 700 se si tiene conto del fatto che a quasi tutti noi è affidati almeno un corso e in molti casi anche due".

Insomma, professori ordinari e associati si stanno mobilitando a loro volta. E lo si è visto anche nelle ultime riunioni dei consigli di facoltà. Nonostante la componente dei ricercatori che vi partecipa sia minima, a Economia e a Scienze politiche non sono riusciti ad approvare il Manifesto degli studenti, ossia quel documento che contiene l'offerta didattica. A Scienze della formazione docenti e personale di ricerca sono andati oltre: hanno votato per la non approvazione del manifesto, dando mandato al preside di portare a conoscenza del rettore e del ministro il fatto che la facoltà non è in grado di far partire l'anno accademico.

Al Politecnico le acque non sono meno agitate. Anche lì i ricercatori contestano la riforma Gelmini perché "riduce la democrazia e l'autonomia degli atenei", perché viene fatta "in assenza di adeguati finanziamenti" e perché prevede che il ricercatore diventi "una figura a tempo determinato, che "scade" dopo sei anni". Nella facoltà di Architettura aderisce la quasi totalità del personale di ricerca e, denuncia il Collettivo che coordina la protesta, "almeno 130 insegnamenti risultano scoperti: i corsi di laurea in Architettura e Disegno industriale rischiano di non poter essere attivati". In quelle di Ingegneria, invece, "sono in bilico le esercitazioni e i laboratori di fisica, mentre l'astensione alla didattica dei ricercatori di matematica potrebbe far saltare una ventina di corsi. Situazioni analoghe si verificano anche nelle aree dell'ingegneria elettronica e della meccanica".

lunedì 21 giugno 2010

Il significato di una protesta condivisa

di Annalisa Monaco (membro del Direttivo Nazionale del CNRU)

In questi giorni, in numerosi Consigli di Facoltà di parecchi atenei, si stanno discutendo mozioni nelle quali si sottolinea il forte appoggio dei professori alla protesta dei ricercatori, invitando tra l’altro ad una condivisione delle motivazioni e ad una diretta partecipazione. In molti casi tali mozioni sono state approvate all’unanimità mostrando una profonda sintonia tra le componenti riguardo al dibattito in corso sul DDL 1905 attualmente in discussione al Senato.

Dal punto di vista dei ricercatori ciò non può che far piacere, soprattutto laddove si noti lo sforzo nel mantenere un atteggiamento costruttivo e propositivo nei confronti della nostra categoria. Su questa linea non deve sfuggire ai ricercatori l’atto formale di cancellare dagli elenchi dei corsi di studio i nomi dei ricercatori “indisponibili”. Questo punto è stato spesso oggetto di dibattito ed ha riscontrato spesso una diversità di atteggiamento tra Facoltà e Facoltà anche all’interno degli stessi atenei. Esso pur non modificando sostanzialmente la posizione reciproca tra ricercatori e istituzioni, ha talvolta messo in allarme alcuni ricercatori preoccupati che l’esito della protesta avesse conseguente tangibili e visibili, soprattutto all’esterno. In effetti non sempre si è riscontrato un atteggiamento limpido nei comportamenti di talune Presidenze e ciò ha rischiato di influire negativamente sulla determinazione dei ricercatori a portare avanti la protesta. Per fortuna questo pericolo ci pare mediamente scongiurato, come testimoniato dalla quantità di indisponibilità presentate nella stragrande maggioranza degli atenei.

Ciò detto non dobbiamo nasconderci le difficoltà che si incontrano, fuori dalla solidarietà formale, nel momento in cui altre categorie – mi riferisco specificamente ad associati ed ordinari – intervengono nella discussione di problemi specifici attinenti alla posizione dei ricercatori nell’ambito della riforma Gelmini, e della manovra Tremonti.

Ho sottolineato più volte un pericolo sostanziale, portato da un pensiero scorretto che, ignorando i motivi della protesta dei ricercatori, attribuisce a noi la causa dei problemi didattici e organizzativi conseguenti alla protesta stessa. In questo modo si considera ciò che è un effetto come causa e, in tal maniera, si nega alla reale causa il nesso nei confronti dell’effetto. In altre parole è ora di smetterla di dire: “I ricercatori mettono in ginocchio gli atenei” oppure “I ricercatori vogliono spremere qualcosa o qualcuno”.

Dal momento che ho già discusso, altre volte, questo argomento, scardinando i presupposti sbagliati su cui si fonda, vorrei ampliare l’ottica cercando di puntualizzare gli interessi rappresentati dalla protesta dei ricercatori e comuni a tutte le categorie.

Forse non si è compreso che l’offerta formativa passata, alla quale hanno contribuito, di necessità, i ricercatori, è la base per il finanziamento dell’Ateneo, base sulla quale possono essere costruiti gli organici, in termini di personale docente e non docente, le strutture ed anche, ultimo ma non ultimo, gli stipendi. Nel particolare, ciò significa che l’attività didattica dei ricercatori ha contribuito e contribuisce tuttora, non poco, a mantenere gli standard economici delle altre categorie di lavoratori assunti nell’ateneo.

Il problema perciò non è puramente speculativo o emotivo, ma riguarda la sostanza economica di tutti. Ciò che i ricercatori, quindi, nella loro protesta perseguono, è un duplice obiettivo: da una parte la critica al DDL Gelmini sulla riforma universitaria che appare soprattutto un’azione per far quadrare bilanci degli atenei e dall’altra il riconoscimento del proprio ruolo e del lavoro svolto negli anni passati per ottenere uno stato giuridico atteso da decenni.

In questo senso nessun ricercatore mette in ginocchio gli atenei. I ricercatori spingono le altre categorie e gli atenei stessi verso una presa di coscienza della necessaria azione di opposizione alle regole finora dominanti ed alle nuove regole che stanno per essere scritte, ma che non modificano le precedenti in meglio.

La solidarietà, quindi, richiesta alle altre categorie deve essere compresa nella sua profonda essenza, cioè il fatto che le altre categorie vivono, in buona parte, grazie all’assunzione di oneri, non dovuti, da parte dei ricercatori. Ed è ora che questo sia ben chiaro e scritto a caratteri cubitali nelle menti degli appartenenti a tutte le categorie universitarie.

Infatti, l’atteggiamento di chi pensa si possa fare a meno dei ricercatori attestandosi su quantità formative inferiori, seppure di eccellenza, si scontrerà con i trasferimenti economici dallo stato che servono a pagare gli stipendi per circa il 90% dell’importo e che, con le offerte formative, comprensive del lavoro didattico dei ricercatori, hanno in gran parte a che fare per la loro quantità: ciò significa minor offerta formativa, minor numero di studenti, minor trasferimento economico (FFO), riduzione degli stipendi, del personale o di entrambi. E questa è la seconda cosa che dovrebbe essere chiara e lampante.

Ciò detto si ritorni con la mente alla protesta dei ricercatori la quale è un mezzo, probabilmente in questi anni è apparso l’unico, per arrivare a farsi sentire dai vertici, ma non è un fine, ovvero quello di indebolire gli atenei.

La confusione, fatta da alcuni, tra mezzo e fine proprio in questo senso va letta. Se mezzo è, è un mezzo che riguarda gli interessi di tutti quelli che lavorano nell’università, perché offerta formativa e FFO riguardano tutti. Ci si aspetterebbe, per questo, che tutti condividessero il mezzo per ottenere quel risultato. In tal modo non ci sarebbe contrapposizione tra ricercatori e associati o ordinari. Infatti, con chi ha compreso che la protesta dei ricercatori è un mezzo c’è intento comune.

Peraltro, laddove la consapevolezza di quanto sopra detto è maggiore, si è compreso che l’azione dei ricercatori non è semplicemente una “lotta di classe” o di categoria e sono state proposte o intraprese forti azioni comuni quali blocco di sessioni di esami, di tesi e via di questo passo. Vorrei far presente come queste azioni, in tutta Italia, non abbiano e non debbano avere una connotazione di schieramento politico. Cercare di mettere un “cappello” alla protesta finirebbe inevitabilmente per farla scadere a mero tentativo di strumentalizzare la crisi del sistema universitario e l’insoddisfazione dei ricercatori a fini di lotta politica.

E proprio questa neutralità mostra l’importanza della posta in gioco che non è semplicemente e soltanto il ricercatore ma è proprio, attraverso il ricercatore, il senso dell’Università pubblica.

Il Ministro Gelmini e la protesta dei Ricercatori

di Annalisa Monaco (membro del Direttivo Nazionale CNRU)

Alcune osservazioni del Ministro On. Gelmini espresse in un intervista a “Il Giornale” del 19 maggio scorso sono incomprensibili, se fatte in relazione alla protesta dei Ricercatori.
La protesta dei “Ricercatori” viene criticata sulla base di un “consenso” alla politica generale del Governo proveniente da una votazione per cariche elettive degli studenti all’interno del CNSU. Dalla quale votazione si evincerebbe che la “maggioranza” degli studenti sarebbero in accordo con il Governo e contro la”protesta” dei Ricercatori.
Ma quale logica seguono tali affermazioni? Non esiste la benché minima relazione tra le osservazioni, l’una non è conseguenza dell’altra, e qualcuno applaude.
Bene, si facciano fare allora le lezioni e la ricerca a quegli studenti, dove starebbe il problema? Si chieda alla CRUI di appoggiare l’arruolamento dei “maturandi” di quest’anno che, forieri di una nuova università, saranno gli araldi di un futuro “moderno” di gente non strumentalizzabile. Per inciso, la prossima volta che i medici dovessero opporsi a qualche taglio sulla Sanità si vadano a vedere come hanno votato anche in questo caso gli studenti. Perché dopo tutto sono anche loro utenti della Sanità. Lo stesso quando avremo delle vertenze con i metalmeccanici perché molti sono gli studenti che guidano la macchina e non vorremo mica deluderli sull’opportunità di riformare il contratto di chi gli costruisce le macchine? Ancora per inciso, non ho nulla contro il parere politico degli studenti, ma il modo con cui sono stati tirati in ballo non c’entra niente e, forse, proprio loro dovrebbero preoccuparsi di essere tirati qua e là come la copertina di Linus.
Due cose obietto duramente su questo modo di procedere.
Primo: chi sta strumentalizzando cosa? La protesta dei Ricercatori non ha un’anima di “sinistra”, non ha a capo i “soliti” comunisti: non si tratta, come sostiene il Ministro On. Gelmini nella sua intervista, di un gruppo di persone di “una sinistra che non offre soluzioni, ma protesta a prescindere”. Potrebbe essere interessante per l’On. Ministro accettare di discutere con i “Ricercatori” e scoprire che molti di essi hanno votato il leader del suo partito, altri l’opposizione, probabilmente con le percentuali emerse dalle votazioni politiche o regionali.
Voglio offrire un dato che chiarisce come non c’entra la dicotomia destra e sinistra che sembrano voler cavalcare in molti all’interno di alcune associazioni sindacali ma anche tra gli esponenti del Governo. In molti Atenei, non in una minima percentuale come il Ministro sostiene – si provi a chiedere ai Rettori, che notoriamente non sono un covo di rivoluzionari di sinistra – , la non disponibilità alla didattica intesa come forma di protesta dichiarata e sottoscritta, raggiunge l’80-90% dei Ricercatori. Non pare che tale numero contraddica la strumentalizzazione che Governo, taluni Partiti o taluni Sindacati, vorrebbero operare di tale evento? Mi si perdoni, ma quale differenza ci sarebbe tra il “sindacato” che vuole a tutti i costi mettere il proprio cappello sulla protesta dei Ricercatori e il Ministro, porta voce del Governo, che s’appella a schieramenti politici inesistenti per sfuggire alle risposte che la protesta stessa richiede? Non si stanno muovendo gli uni e gli altri con una logica di strumentalizzazione analoga? È forse un caso che soltanto gli appartenenti alla CGIL (in numero di tre) siano stati ricevuti dal Presidente della VII Commissione del Senato, Sen. Possa, durante la protesta – dei Ricercatori assieme alle altre componenti universitarie e non solo della CGIL – davanti a Palazzo Madama? Sicuramente la “delegazione” non l’ha determinata il Presidente della VII Commissione, ma il dubbio che fosse una cosa parziale e strumentale avrebbe, forse, dovuto nascere nella mente dell’On. Gelmini considerando i molti mesi di discussione sul suo ddl ai quali avrà certamente assistito. Altrimenti perché avremmo discusso con il Relatore della legge per gli emendamenti al suo ddl se poi solo la CGIL sarebbe da considerarsi come interlocutore? Bastava parlare da subito con loro e si sarebbe risolto il problema. Sto pensando a quanto tempo ho, evidentemente, perso con la VII Commissione del Senato se tutto quanto detto diventa uno “scontro” con “una sinistra che non offre soluzioni ma protesta a prescindere”.
Che peccato sentire risuonare un”politichese” che dovrebbe appartenere alla cosiddetta “prima Repubblica” sulle labbra, o in punta di penna, degli appartenenti alla seconda.
Secondo: si continua a sorvolare sul fatto che la protesta ha due motivazioni.
La prima riguarda direttamente il ddl e le conseguenze sull’organizzazione dell’università che ne derivano, o si pensa ne deriveranno. Questa motivazione è quella nella quale è più possibile lo “scontro” propriamente politico. È possibile che si abbiano punti di vista anche opposti e che si diano giudizi condizionati dal proprio credo politico o partitico. Di questo non voglio parlare: i giudizi politici sono così difficili da trarre, i sofismi così facili da evocare.
La seconda motivazione ha ben poco di politico, parla di ingiustizia. Questa sì “a prescindere”. Un problema in questi anni è andato palesandosi ai danni dei Ricercatori universitari che il ddl promosso, rimanendo le cose come sono, non potrà risolvere.
Cosa importa discutere del futuro luminoso di un’università che non esiste se neppure una pesante ingiustizia, come quella perpetrata per un quindicennio ai danni degli attuali Ricercatori, viene presa in considerazione?
Gli attuali Ricercatori universitari si trovano letteralmente in mezzo ad un guado. Nessuna sponda è più visibile. Da una parte, le difficoltà economiche del Paese e la necessità di rendere i bilanci degli Atenei adeguati a criteri di “virtuosità” impediscono e, ritengo, impediranno per molto tempo un numero adeguato di concorsi per la docenza di seconda e prima fascia; dall’altra, il ddl non prevede cambiamenti di stato giuridico per gli attuali Ricercatori ma soltanto “opportunità concorsuali”, come detto impraticabili, e attribuisce il destino “ad esaurimento” alla nostra categoria. Non servono trucchi contabili, attribuzioni percentuali di chiamate dirette, listoni di abilitazione (vedi emendamenti all’art.9): il fatto è che senza fondi e con il turn over bloccato dire 30% o 50% di chiamate dirette oppure dire tutti o nessuno equivale a dire la stessa cosa. Perché il 5% di zero è lo stesso del 70% di niente. Zero fondi, quindi zero risultato per qualsiasi ipotesi percentuale.
Perché continuare a prenderci in giro? “A prescindere” da qualsiasi legge o emendamento, questo zero per gli attuali Ricercatori suona col rombo di un uragano, il frastuono di mille tuoni che nessun gioco di prestigio pseudo “meritocratico” può tacitare.
E credo che il termine “ad esaurimento”, evocato per i Ricercatori universitari attuali, rappresenti perfettamente lo stato e il nostro futuro divenire. Infatti, venendo a mancare le condizioni per le progressioni di carriera, se non per numeri marginali, è possibile che l’esaurimento della categoria degli attuali Ricercatori avvenga in una ventina di anni, al traguardo del pensionamento.
Pochissimi di noi avrebbero pensato, entrando nell’Università, che il proprio traguardo sarebbe stato il pensionamento (o il prepensionamento!). Ma se questo dovesse essere, quale spirito di ricerca si potrebbe chiedere a queste persone?
In uno scenario facilmente intuibile del prossimo futuro – diciamo 5-10 anni – avremo nell’Università molti 35-40enni Ricercatori di “nuovo ordinamento” e molti 45-50enni Ricercatori ad esaurimento del “vecchio ordinamento”. I più “bravi”, tra i primi, che potranno essere poi inquadrati nel ruolo docente, la maggior parte tra i secondi, anche se ”bravi”, a tirare a campare verso la pensione. Nelle discussioni sull’argomento ho sentito anche sostenere che i Ricercatori “vecchio ordinamento” lavoreranno meglio e di più spinti dalla concorrenza dei Ricercatori del “nuovo ordinamento” i quali, a loro volta, lavorerebbero di più e meglio per lo stato di incertezza che avranno fino alla conferma del loro posto in via definitiva con l’inquadramento in seconda fascia. Insomma, un volano di virtù esponenziale. Ben sapendo che ci sono studi che dimostrano che “la precarietà incide negativamente sulla produttività scientifica”, non sarebbe difficile controbattere tali argomentazioni e quindi, onestamente, ci si sente presi in giro.
Il non vedere all’orizzonte alcuna volontà di risolvere realmente il problema del riconoscimento del ruolo docente ai Ricercatori universitari attuali, di “pensare” a un provvedimento transitorio tra lo stato attuale e quello futuro previsto per i Ricercatori a tempo determinato, mi fa dire una cosa che già ho scritto qualche giorno fa: “perché affannarsi a discutere d’altro?”

domenica 13 giugno 2010

Lettera del Rettore al Ministro dell'Istruzione

Rende, 24 maggio 2010
Gent.
On. Maria Stella Gelmini
Ministro dell’Istruzione
dell’Università e della Ricerca
Piazza Kennedy, 20
00144 ROMA
Gentile Ministro,
il dovere istituzionale, conseguente all’importante responsabilità che rivesto in seno all’Università
della Calabria ma, non di meno, il senso di diffusa e particolare preoccupazione, per i gravi effetti
che sono destinati a riflettersi sullo stesso Ateneo, in ragione di alcune previsioni contenute nel
disegno di legge predisposto dal Suo Ministero, e dei tagli alle risorse, già operati e futuri, mi
inducono a rappresentarLe il rischio molto concreto che ad Arcavacata non sarà possibile avviare
l’anno accademico 2010/2011.
Le ragioni di questo forte senso di sfiducia, che sento il bisogno di portare alla Sua attenzione,
interpretano il profondo disagio della comunità universitaria nelle sue diverse componenti e quello,
non meno radicato, dell’opinione pubblica calabrese, e riflettono situazioni che ormai hanno assunto
un esteso e profondo carattere di criticità.
A mostrare questa particolare e negativa situazione è, innanzitutto, lo stato di agitazione proclamato
dai ricercatori dell’ Università della Calabria, i quali, giustamente, rivendicano il riconoscimento
del fondamentale lavoro svolto in questi anni, e della possibilità, da essi assicurata, che l’Ateneo
fosse nella condizione, come in effetti è avvenuto, di garantire lo svolgimento di ampie ed
essenziali attività, nel campo della ricerca e della didattica.
Una rivendicazione ed una richiesta di sicurezza, ripeto fondate e pienamente condivise, che il
disegno di legge in discussione al Senato al contrario non riconosce pienamente, riducendo le
garanzie per gli attuali ricercatori di ruolo, così come per quelli a tempo determinato, e impedendo
loro di guardare al futuro con fiducia e gratificazione. Da qui, la loro decisione di proclamare
l’astensione da ogni attività finora svolta, il che, gioco forza, rappresentando gli stessi il 50% del
corpo docente dell’Università della Calabria, potrebbe seriamente pregiudicare l’avvio del prossimo
anno accademico.
Questa conseguenza, se possibile, risulta ancor più aggravata e insostenibile dai micidiali effetti
previsti dalla manovra finanziaria 2008 per le Università, e dunque anche sul nostro Ateneo,
costretto, nonostante abbia sempre rispettato i parametri di valutazione stabiliti dal Ministero, a
subire quest’anno un taglio potenziale del 9% sull’Ffo e, per il prossimo, decurtazioni di risorse
dell’ordine del 19%; effetti ingiusti e immeritati, al pari dei precedenti, che non lasciano alcun
margine di operatività e precludono l’esito di qualunque propensione e disponibilità ad operare,
ancora e più che in passato, perseguendo obiettivi di efficacia e efficienza.
Ebbene, Signor Ministro, se le cose dovessero purtroppo trovare conferma nel senso indicato, per
l’Università della Calabria sarebbe l’inizio di una fine ingloriosa quanto immeritata.
Un percorso inverso e irreversibile, rispetto a quello, virtuoso ancorché irto di ostacoli e di sacrifici,
seguito in questi anni, che ci ha visti sempre e comunque mantenere la rotta verso mete
unanimemente riconosciute nel solco delle migliori e più apprezzabili tradizioni di buon governo ed
oculatezza gestionale.
Non è un caso, infatti, se l’UniCal, pur ricevendo minori risorse di quanto ad essa sarebbero spettate
secondo il Modello del CNVSU, sia riuscita a mantenere ben al di sotto del 90% il livello della
spesa per il personale rispetto allo Ffo, a raddoppiare il corpo docente e vanti un livello di
indebitamento estremamente basso.
Non sono risultati di poco conto e, rispetto ad essi, il convincimento mio e dell’Ateneo è sempre
stato che una valutazione oggettiva e realistica delle nostre performance ci avrebbe messo al riparo
da qualunque tipo di discriminazione, o appiattimento, o penalizzazione di sorta.
Purtroppo, non è stato, e alla luce di quello che le iniziative più recenti autorizzano a ritenere, non
sembra sarà così; e questo, signor Ministro, riteniamo non solo essere ingiusto, ma non rispondere a
criteri di equilibrio ed equità, cui anche, e soprattutto, il sistema universitario deve ispirarsi.
Non ci ha mai impressionato la competizione con atenei più grandi e di ben più antica tradizione,
così come abbiamo condiviso ed ispirato le nostre scelte ai principi e agli obiettivi di una severa e
necessaria valutazione; su tali parametri ci siamo misurati e su di essi, nonostante l’esistenza di
condizioni complessive, riferite al nostro contesto di riferimento, certamente non favorevoli,
abbiamo ritenuto di affrontare una sfida per molti aspetti incerta e difficile, più che altrove,
ottenendo risultati importanti.
Ora, a quelle linee d’azione, e a quei criteri, che l’Università della Calabria ha scrupolosamente e
faticosamente rispettato, il Ministero mostra di non volersi più ispirare, con grave nocumento per
chi ha fatto, e fino in fondo, la sua parte.
E’ un atteggiamento, signor Ministro, difficile da accettare tanto sul piano del principio che della
sostanza, e non può essere il prezzo da pagare da chi ha operato nel pieno rispetto dei propri
obblighi.
Ancor più, questo assunto riteniamo acquisti valore e rilievo per la nostra Università, che, per
ragioni fin troppo note, a differenza di altri Atenei non ha mai avuto e non potrebbe contare su
sostegni e aiuti di natura diversa dal territorio regionale di riferimento.
Era doveroso dirLe queste cose e portare alla Sua attenzione la gravissima situazione che si profila
all’orizzonte per la nostra università.
E’ un triste momento, che non avremmo mai voluto dover affrontare, anche e soprattutto per la
consapevolezza che a causarlo non è stata l’Università della Calabria e chi ha avuto l’onore di
guidarLa in questi anni.
Il Paese ha certamente bisogno di un’azione di risanamento energica ed efficace, ma crediamo che
quelle decise nei confronti delle Università, e le penalizzazioni richiamate, non accreditino l’idea di
una politica adeguata né siano il modo corretto di affrontare i problemi sul tappeto.
E la Storia, che si incarica sempre di dimostrare la fondatezza e la correttezza delle azioni di tutti,
certamente non mancherà di confermarlo.
Gradisca i miei più cordiali saluti.
Il Rettore
Prof. Giovanni Latorre


http://www.unical.it/portale/portaltemplates/view/view.cfm?18618

sabato 12 giugno 2010

documento 9 giugno 2010

ADI, ADU, AND, ANDU, APU, CGA, CIPUR-CONFSAL, CISAL, CISL-Università, CNRU, CNU, CONFSAL-Cisapuni, FLC-CGIL, LINK-Coordinamento Universitario, RdB-USB Pubblico Impiego- RETE 29 APRILE, SNALS-Docenti Università, SUN, UDU, UGL-Università e Ricerca, UILPA-UR

Le Organizzazioni e le Associazioni dell'Università hanno esaminato il Decreto legge - Tremonti di manovra economica straordinaria, nel suo insieme e per quanto attiene l'Università.
Considerato che la manovra colpisce in primo luogo la presenza pubblica in Italia, le Organizzazioni e le Associazioni rilevano che ciò avviene da una parte ridimensionando le risorse destinate ai servizi pubblici, dall'altra diminuendo il numero complessivo dei dipendenti e dall'altra ancora diminuendo le loro retribuzioni in modo permanente e progressivo nel tempo.
Viene così completato l'attacco alla sfera pubblica e all'Università già avviato dalla legge 133/08 sul piano economico. Per l'Università, caso unico del pubblico impiego, ciò comporta un ulteriore riduzione del finanziamento e danni definitivi per il futuro del paese, in particolare:
. il Finanziamento Ordinario (FFO) previsto rende impossibile chiudere i bilanci dell'Università senza alcuno spazio per la ricerca: nel 2011 il taglio sarà del 14,9%;
. sarà impossibile effettuare nuovo reclutamento in ruolo nell.Università;
. viene peggiorata la condizione dei docenti e del personale t-a;
. si chiudono di fatto le prospettive di inserimento nella docenza e nei ruoli del personale t-a per quasi tutti gli attuali precari;
. rimangono i tagli al diritto studio previsti della legge 133 (nè sono stati ancora trasferiti alle Regioni gli stanziamenti previsti dalla legge 1/2009).
Le Organizzazioni e le Associazioni chiederanno un incontro urgente alla Presidenza del Consiglio, per rappresentare le seguenti esigenze improrogabili:
. il ripristino del FFO rispetto al 2008;
. la conservazione presso le Università delle intere retribuzioni per cessazione;
. l'eliminazione della sospensione degli scatti e degli aumenti della docenza, o quanto meno la loro trasformazione in congelamento temporaneo, al fine di uniformare il trattamento con altri settori del pubblico impiego;
. l'eliminazione di tale sospensione per i ricercatori e i professori con meno di 5 anni di anzianità;
. il ripristino della contrattazione per il personale t-a;
. eliminazione dei tagli e sblocco di tutti i fondi previsti per il diritto allo studio ed alloggi universitari.
Rafforzando e riconfermando il giudizio del tutto negativo sul DDL 1905 sull'Università, che il Senato si appresta ad approvare nonostante la grande protesta del mondo universitario, le Organizzazioni e le Associazioni chiedono a tutte le componenti, docenti, personale t-a, precari e studenti, di intensificare la mobilitazione e, in particolare, invitano i professori e i ricercatori ad attenersi esclusivamente ai propri compiti didattici obbligatori per legge, in primo luogo per i corsi del prossimo anno accademico.
Per il giorno 1 Luglio p.v. si svolgeranno assemblee di Ateneo nei Rettorati con occupazioni simboliche degli stessi.


Roma, 9 giugno 2010

mercoledì 9 giugno 2010

ricevimento ed altro

La dott. Mancini riceve gli studenti il 10 giugno alle 10 nel suo ufficio. Chi non potesse passare, può inviare una mail e il materiale al solito indirizzo (bruna_mancini@yahoo.it) dal momento che, finiti i corsi, i ricevimenti non si terranno più ogni settimana. Per ogni altra novità troverete sempore notizie sul blog, che posso gestire personalmente.

Bruna Mancini

martedì 8 giugno 2010

appello 10 giugno 2010

L'appello del 10 giugno si terrà nell'aula A ore 15.

BM