lunedì 26 luglio 2010

Ricercatori facoltà di Ingegneria (UNICAL)

Consiglio di Facoltà del 22 luglio 2010
Intervento dell’Assemblea dei Ricercatori al punto 7) dell’o.d.g.
“Mozione della Facoltà sul DdL 1905 e sulle manovre finanziarie”

Cari colleghi, chi vi parla lo fa a nome dell’assemblea dei Ricercatori della Facoltà di Ingegneria autoconvocata ieri, giorno 21 luglio 2010, che nella stessa sede ha redatto il presente intervento che mi accingo a leggere.

I Ricercatori accolgono con favore la presenza nell’Ordine del giorno dell’odierna seduta del Consiglio di Facoltà di un punto relativo al DdL n° 1905 ed ai provvedimenti finanziari connessi con il riassetto dei conti pubblici che interessano fortemente l’Università.
Con franchezza, però, rimarcano il ritardo con il quale la nostra Facoltà è stata chiamata a confrontarsi su questi temi. Mentre nel resto d’Italia, con modi e forme diverse, la protesta è montata già da tempo [basta citare ad es. la Facoltà di Ingegneria di Roma La Sapienza, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Padova, il Politecnico di Torino, la II Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Bologna, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Cassino, la I e la II Facoltà d’Ingegneria Del Politecnico di Bari, la Facoltà d’Ingegneria della Federico II di Napoli, la Facoltà d’Ingegneria della seconda Università di Napoli, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Parma, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Salerno, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università del Sannio, ecc...], questa Facoltà, solo oggi, a tre mesi di distanza, dedica uno spazio congruo alla discussione di questi temi centrali per il futuro del Sistema Universitario Pubblico in Italia.
I Ricercatori vogliono chiarire una volta per tutte che non sono interessati a portare avanti una protesta di stampo corporativo, rivendicando, al più, un simbolico primato di “primogenitura”, che ha avuto come obiettivo solo quello di prendere l’iniziativa e smuovere un sistema poco avvezzo a iniziative decise di mobilitazione.
I Ricercatori hanno a cuore una sola cosa, il sistema universitario pubblico del nostro paese.
Tutti i tentativi di etichettare la protesta dei Ricercatori come una mera rivendicazione corporativistica, hanno il solo obiettivo di marginalizzare e sminuire una giusta protesta che invece merita di essere sostenuta da tutto il corpo docente.
E’, quindi, auspicabile che l’intero Consiglio di Facoltà esprima una posizione decisa, tenendo in debito conto le argomentazioni che i Ricercatori, da più tempo e in diverse sedi, hanno chiaramente espresso.
A questo proposito è opportuno richiamare il documento che l’Assemblea dei Ricercatori di questa Facoltà ha licenziato il 7 Luglio u.s. e che il Consiglio di Presidenza ha inteso riprendere, anche se in maniera piuttosto marginale, nella mozione che abbiamo ricevuto dal Preside lo scorso 13 Luglio.
Nel documento dei Ricercatori si affronta il problema dell‘azione simultanea dei tagli alle risorse degli Atenei, inclusi gli scatti stipendiali della classe docente, e del DdL 1905 che, insieme a ragionevoli misure per migliorare il funzionamento dell’Università, introdurrebbe valutazioni di merito senza la necessaria copertura finanziaria.
I Ricercatori, in particolare, hanno evidenziato come sia inaccettabile, oltre che umiliante e demotivante per la classe dei docenti universitari, operare in una struttura che benefici di un meccanismo di “finanziamento” coatto con i fondi derivanti dai blocchi stipendiali. Questo configura, di fatto, un tentativo di compensazione dei finanziamenti all’Università a spese del personale dipendente (Professori, Ricercatori, Personale Tecnico-Amministrativo) trasformando artificiosamente una voce in uscita del bilancio degli atenei in una voce di entrata.
È stata anche chiaramente manifestata la contrarietà al rallentamento dei processi di rinnovamento della classe docente con il sostanziale blocco del turn-over. L’università ha bisogno adesso di riavviare il fisiologico processo di ricambio dei propri docenti e questo per almeno due ordini di motivi: dare prospettive, quanto mai difficili ma certe, a coloro i quali intendono intraprendere e proseguire la carriera universitaria e prevenire, per quanto è possibile, l’incipiente ondata di pensionamenti attesa per gli anni a venire.
Si tratta, in sostanza, di garantire la continuità di funzionamento dell’istituzione universitaria pubblica e la trasmissione delle conoscenze, a servizio delle generazioni di un futuro non troppo lontano.
Per quanto riguarda, invece, il DdL 1905, i Ricercatori, pur apprezzando i tentativi di miglioramento che in Senato hanno mutato alcuni degli elementi controversi della proposta di Legge, rimarcano la presenza di ulteriori aspetti estremamente critici. Ci si riferisce, ad esempio, al tentativo di praticare riforme a costo zero, specie quando contestualmente, si chiede alla classe docente (unica nel comparto pubblico e dei “non contrattualizzati”) di sottoporsi a periodica valutazione di merito. La maggior parte di noi non ha paura di esporre i risultati del proprio lavoro: ci confortano, in questo senso, i riscontri che riceviamo continuamente dalla comunità scientifica internazionale. Un po’ meno convinti siamo dell’uso che si intende fare dei risultati della valutazione, ovvero, punire i meno operosi, più che premiare i virtuosi. Del resto tutto il meccanismo perde di credibilità se si considera (dati OCSE alla mano) che in Italia si spende solo lo 0,9% del PIL per la ricerca. In questa corsa al peggio, siamo superati solo dalla Slovacchia. Gli USA investono il 2,9%, il Canada il 2,6%, Grecia, Polonia, Messico, Israele, Portogallo, Turchia, Cile ed Estonia sono davanti a noi. Chiunque sia dotato di buonsenso potrà pronosticare il fallimento di qualsiasi svolta meritocratica in assenza di un reale ed organico supporto finanziario.
È anche preoccupante, nel DdL 1905, la svolta verticistica che si intende dare alle strutture interne degli Atenei. Ci riconosciamo in una struttura in cui si individuino differenti responsabilità e ruoli per ognuno. Ci stupiamo, però, che la riforma riconsegni l’autorità e i ruoli decisionali nelle stesse mani di coloro i quali, negli ultimi dieci anni e in regime di autonomia, hanno gestito l’Università fino a rendere non più procrastinabile un radicale intervento di risanamento strutturale. Saremmo curiosi, non per giustizialismo ma per amore della verità, di individuare coloro i quali hanno avuto responsabilità nel determinare l’attuale situazione e non ci stupiremmo di trovarli tra i finti oppositori, se non tra i benpensanti sostenitori, del DdL 1905 così come originariamente pensato dal legislatore.
Fino a qui i fatti, anche se in estrema sintesi, che hanno dato corpo alla protesta, in questa Facoltà come in molti altri Atenei pubblici d’Italia.
Resta da affrontare il nodo più critico: come opporsi a tutto ciò?
Come dato iniziale, i Ricercatori auspicano che le forme di mobilitazione che questo Consiglio di Facoltà intenderà promuovere avranno il sostegno convinto di tutto il corpo docente, senza distinzioni di ruoli.
In tal senso sono apprezzabili le motivazioni contenute nella bozza di mozione inviata dal Preside, d’altro canto, però, non possiamo tacere la delusione nel leggere le proposte di azioni in essa contenute. In questo particolare momento, in cui tutto il mondo universitario produce il massimo sforzo per trasmettere il proprio dissenso, si ritiene quantomeno poco efficace lo strumento del riservarsi (testualmente) “ogni ulteriore eventuale iniziativa per realizzare azioni di protesta, quali variazioni delle date e degli orari degli esami, fare precedere l’inizio di ogni seduta di laurea dalla lettura di un comunicato…” o altre azioni di simile tenore.
Cari colleghi, questo è il momento di mettere in atto azioni di protesta incisive esercitando la massima pressione possibile, proprio in queste ore in cui alla Camera è in discussione il maxiemendamento della manovra finanziaria e al Senato riprende l’iter di revisione del DdL1905.
Metodi e forme di mobilitazione devono essere concordate e quanto più ampiamente condivise, ma si ritiene necessario mantenere alcuni punti fermi che, a nostro avviso, rendono forte e credibile la protesta. In particolare si ritiene indispensabile una formale dichiarazione dello stato di agitazione dei docenti della Facoltà proclamando fin da subito uno “sciopero bianco” che preveda l’astensione da tutte le attività non obbligatorie per legge. Altrettanto importante, e naturale conseguenza dell’atto precedente, è la sospensione dell’iter della programmazione delle attività didattiche per l'A.A. 2010/2011 con il rinvio della delibera di copertura dei corsi, anche per affidamento e per contratto, a data da destinarsi.
Per dare senso ed efficacia alla protesta è, inoltre, necessario sancire pubblicamente il ritardo, ed il concreto rischio di blocco, che lo stato di agitazione determinerà sull’inizio del nuovo A.A., valutando anche la possibilità del rinvio dei test di ammissione già previsti per il giorno 1 settembre.
A supporto di una protesta articolata secondo i canoni appena citati, l’ampia maggioranza dei ricercatori ha già firmato e consegnato in Presidenza, la propria indisponibilità ad assumere incarichi didattici non obbligatori per il prossimo Anno Accademico.
Noi ricercatori siamo una classe di persone che ha sempre dimostrato il proprio senso di responsabilità e certamente non intendiamo derogare a tale prerogativa in questa delicata occasione. Il nostro obiettivo non è quello di praticare politiche distruttive, tuttavia, la gravità della situazione ci spinge ad un richiamo all’unità nella protesta a tutto il corpo docente senza tentennamenti.
Crediamo che oggi sia l’ultima occasione per opporsi in maniera visibile e produttiva, perché i distinguo e le posizioni sfumate adottate nell’ultimo decennio, non solo non hanno prodotto alcun risultato, ma hanno ogni volta gettato le basi, e creato le premesse, per la proposizione di sempre più duri attacchi al sistema universitario pubblico (basta ricordare, ad esempio, gli esiti prodotti dalla Legge 509/99, dalla Legge Moratti 230/05 e dalla Legge 133/08). Seppur dolorosamente, riteniamo che una decisa presa di posizione oggi, con tutte le conseguenze che purtroppo ne possono derivare, non solo sia sacrosanta ma sia necessaria, soprattutto per prevenire ulteriori attacchi che già si delineano nell’orizzonte di un immediato futuro.
Esiste ed è percepibile un ulteriore grave rischio legato al crescente stato di annichilimento, di demotivazione e di disaffezione per i ruoli, per le funzioni e per le istituzioni che è concentrato soprattutto all’interno delle generazioni più giovani. La voglia di battersi e di dare voce alle proprie rivendicazioni rappresenta l’ultimo segnale di una volontà di non cedere a questo stato di decadimento. Se non si riesce a cogliere e valorizzare tale segnale, riducendo al silenzio una già flebile voce, allora significa che ci stiamo accingendo a perdere una partita assai più importante: quella che porterà la nostra università pubblica verso un rapido ed inesorabile declino.
Concludendo invitiamo il consiglio di Facoltà a riflettere profondamente e decidere se sia meglio correre il rischio di ritardare o bloccare un A.A. o, piuttosto, assistere da spettatori silenti alla destrutturazione del sistema universitario pubblico ed alla deriva nichilistica i cui primi segni appaiono ormai evidenti.

domenica 25 luglio 2010

L’Università pubblica rischia di morire

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L'appello

L’Università pubblica rischia di morire

Un appello della Facoltà di Scienze MFN dell’Università di Torino


Siamo docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università di Torino e lavoriamo a tempo pieno nella ricerca e nella formazione. Con questo appello vogliamo fare conoscere ai cittadini, ai nostri studenti e alle loro famiglie la nostra posizione.

Noi che operiamo nell’Università pubblica viviamo infatti in una morsa di crescente inquietudine per il susseguirsi di provvedimenti volti a ridimensionare il sistema dell’alta formazione e della ricerca. Una forte riduzione delle risorse è già in atto dal 2008 (L133/08, L01/09), e la recente manovra correttiva (Tremonti) è solo l’ultimo episodio di una serie

1. Sì al cambiamento vero dell'Università

Siamo convinti che l’Università italiana, come molti comparti del settore pubblico, abbia bisogno di profondi cambiamenti e non intendiamo difendere lo status quo. Per migliorare il sistema universitario è necessario premiare il merito e la qualità, valutando in modo rigoroso, trasparente ed indipendente il lavoro di ciascuno, come avviene nei paesi più avanzati.

Non è questa la direzione intrapresa negli ultimi anni: si parla molto di merito ma non se ne tiene conto e si dispongono tagli durissimi per tutti.

2. Sì a un futuro di sviluppo per l'Italia e il Piemonte

L’Università è il luogo dove si crea e si trasmette la conoscenza che è necessaria per lo sviluppo. Anche nella nostra Regione, l'Università pubblica promuove la mobilità sociale, forma la stragrande maggioranza dei quadri dirigenti della società ed è fonte di innovazione e sviluppo.

Nessuno ignora la gravità della crisi economica attuale e la necessità di fare scelte rigorose, ma le risorse investite in formazione e ricerca non sono un lusso od uno spreco, bensì una risorsa preziosa da utilizzare con attenzione e rigore per preparare il domani. Sono i nostri ed i vostri soldi investiti per un migliore futuro sociale ed economico di questo Paese e della nostra Regione.

I paesi più avanzati al mondo investono più degli altri in ricerca e sviluppo. La risposta alla crisi dei maggiori paesi europei è stata l'aumento delle risorse per università e ricerca. Così hanno fatto la Francia, la Germania e la Svizzera. L’Italia investe solo lo 0,8% del suo PIL in formazione avanzata e ricerca, lontana dell'Europa che investe in media il 45% in più (dati Eurostat).

In Italia abbiamo un rapporto di 20 studenti per docente, contro una media OCSE di 15. Il numero di docenti universitari dovrebbe quindi crescere per poter competere con i paesi più avanzati. Al contrario, la Legge 1 del 2009 permette di sostituire al massimo il 50% del personale docente che va in pensione. L'attuale DL di stabilizzazione finanziaria potrebbe addirittura bloccare il turnover nei prossimi anni, portando il rapporto a oltre 50 studenti per docente. Stiamo infatti per assistere, per ragioni anagrafiche, ad una massiccia uscita dai ruoli universitari. In Italia ci sono oggi circa 62000 docenti e ricercatori: più di 8000 andranno in pensione entro il 2013, altri 15000 entro il 2020 (dati MIUR). Un rinnovamento è necessario se si vuole mantenere in vita l’Università pubblica. I ricercatori che oggi legittimamente protestano sono la base in cui individuare e scegliere i professori del futuro: la loro penalizzazione oggi è un pessimo investimento per il domani.

3. No al precariato senza futuro

Le risorse umane per il futuro della ricerca italiana non mancherebbero né tra i ricercatori universitari di oggi né tra i giovani che si avvicinano alla ricerca. Il disegno di legge 1905 attualmente in discussione (DDL Gelmini) prevede l'abbandono dei ricercatori su un binario morto e la sostituzione del loro ruolo con ricercatori a tempo determinato. Questo umilia e demotiva una classe di giovani studiosi, parecchi dei quali hanno già oggi competenze e titoli scientifici più che adeguati ai livelli superiori di docenza. Il ruolo del ricercatore a tempo determinato, così come proposto, istituisce di fatto un lungo periodo di precariato senza certezze sulla possibilità di concorrere in Italia ad una posizione permanente, a prescindere da qualunque questione di merito.

I giovani laureati che in Italia si avvicinano alla ricerca, tra mille difficoltà e nella quasi totale assenza di prospettive, sono invece apprezzati nelle istituzioni di ricerca all’estero, dove col tempo arrivano anche ad occupare posizioni di grande prestigio. Dunque il sistema formativo in cui sono cresciuti è ancora valido. Nelle condizioni che si stanno delineando, altri giovani ricercatori formati a spese del nostro Paese saranno costretti a fuggire, attratti dai Paesi dove la cultura e la ricerca sono un valore. Finiremo così per regalarli a Paesi più lungimiranti.

Un Paese che tollera l’evasione fiscale più grande e ostentata d’Europa, ma che taglia ogni giorno le risorse necessarie per sostenere l'attività dei suoi talenti migliori, è un Paese senza futuro.

4. No agli sprechi ma anche no ai tagli generalizzati

La durissima politica di tagli rende difficile confrontarsi sui contenuti del DDL Gelmini, che ripete quasi ad ogni articolo e comma che ogni azione deve essere portata avanti a costo zero. Con questa premessa, anche le proposte potenzialmente positive, come l’introduzione di un meccanismo di valutazione della ricerca e il reclutamento sulla base di concorsi nazionali, perdono ogni credibilità. In nessun settore si possono fare riforme serie a costo zero!

La manovra di stabilizzazione finanziaria di questi giorni colpisce anche le retribuzioni di tutti noi, in modo particolarmente inaccettabile per le fasce più giovani. Introduce inoltre nuovi e pesantissimi tagli ai fondi per ricerca e didattica, che si aggiungono a una lunga serie di tagli progressivi preesistenti. A dispetto delle dichiarate intenzioni meritocratiche del governo, i tagli sono indiscriminati: Atenei virtuosi, Atenei spendaccioni e alcune realtà universitarie di dubbia qualità sono messi sullo stesso piano.

Per dare un’idea di quanto il DL penalizzi le università virtuose, diamo alcune dati relativi al nostro Ateneo. Il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che lo Stato annualmente assegna alle università e su cui grava completamente il pagamento degli stipendi, nel 2009 è ammontato a 263 milioni di euro. L’Ateneo di Torino, con un bilancio complessivo superiore a 890 milioni grazie a ulteriori finanziamenti derivanti da progetti e convenzioni, ha però restituito allo Stato ed agli Enti locali circa 240 milioni di euro in imposte di vario tipo. Questo dimostra che un'Università pubblica vitale è per lo Stato una spesa più che sostenibile. Nonostante ciò, l'FFO per il nostro Ateneo sarà ridotto il prossimo anno di altri 25 milioni di euro, riducendo la qualità della nostra didattica e le nostre capacità di attrarre risorse esterne.

5. L’Università è di tutti, anche tua!

Lo studio, la formazione e la ricerca sono motori di progresso civile ed economico. Siamo convinti che la libertà di ricerca vada assolutamente preservata, non solo per una nostra convinzione ideologica, ma perché essa sola garantisce (lo ha fatto negli ultimi secoli) il progredire della conoscenza, dello sviluppo scientifico e tecnologico, aprendo nuovi orizzonti per la vita di tutti.

Per difendere il futuro dell'Università pubblica in Italia, docenti e ricercatori stanno oggi protestando in molti Atenei. A seguito di questa protesta, l'avvio del prossimo anno accademico rischia di essere difficile, con un'offerta didattica incompleta e non all'altezza della nostra tradizione.

Aiutateci, con la vostra solidarietà, a difendere un patrimonio comune riconosciuto dalla Costituzione

Il costo di questo appello viene sostenuto con il contributo volontario di un gruppo di docenti e ricercatori.

Il delitto più grave!

http://concita.blog.unita.it/Il_delitto_piu__grave_1436.shtml

Il delitto piu' grave

Spero non dispiaccia ai nostri lettori se distolgo lo sguardo dai temi di giornata - sui quali peraltro sanno già tutto, questo giornale ha scritto per primo e ossessivamente come la reale strategia di Marchionne fosse quella di lasciare l'Italia cercando il modo di attribuire le responsabilità ai sindacato. Ricordate le parole di Susanna Camusso? Oggi ascoltiamo Landini e Chiamparino. Del ddl sulle intercettazioni abbiamo detto dal principio come il bavaglio alla stampa fosse lo specchio per le allodole che cela la volontà di chiudere in fretta una norma salva-cricca che frena l'azione dei magistrati, leggete oggi le intercettazioni sul sottosegretario Caliendo - difeso da Alfano - e fatevi un'idea della posta in gioco.

Solleviamo dunque la testa dalle carte di giornata e proviamo a guardare l'orizzonte. Qualcosa di terribile sta accadendo in Italia nel disinteresse generale. E' toccato prima alla scuola dell'obbligo, poi alle superiori. Alla ricerca scientifica. Ora all'Università. Da ieri è in discussione la riforma degli Atenei. Tagli, come al solito. Tagli di spesa e "semplificazione" dei corsi accademici. Spariscono con un tratto di penna. Prima di arrivare a questo - per ottenere che questo accadesse nel silenzio - si è lavorato per anni ad una delegittimazione del sapere come ricchezza individuale e collettiva, come fonte di crescita personale e come investimento. La tv, la pubblicità, i modelli di riferimento - gli esempi: cosa serve nella vita per avere successo? per sentirsi utili, per guadagnare il denaro che occorre a realizzare un progetto, per essere in armonia con se stessi e con gli altri? - hanno proposto un sistematico scardinamento dell'antica equazione sapere uguale libertà. La fatica dello studio non è compatibile col qui e ora dell'eterno presente immemore in cui viviamo. Un figlio che annuncia di voler studiare medicina è diventato una disgrazia: anni di spesa inutile, non ci sarà carriera possibile, le baronìe e le cricche universitarie hanno fatto il resto. Meglio puntare a diventare tronista, ragazza immagine, al limite estetista - un settore in espansione.

Torno da un paio di settimane a Boston, una delle città a più alta densità universitaria degli Stati Uniti, dove ho incontrato docenti e studenti: decine di ragazzi italiani mi hanno avvicinata per raccontarmi la loro delusione. Lavorano alla diagnosi prenatale delle malformazioni, alla ricerca sulle cellule staminali, allo studio comparato delle costituzioni, provano a entrare in un'orchestra, a far reagire un robot di fronte alle espressioni del volto umano. In Italia non torneranno più. Perché non ci sono soldi, nè pubblici nè privati. Perché una sola facoltà di una sola università di quella città investe in sapere più del nostro Paese intero. Perché qui non c'è lavoro, puoi al massimo fare fotocopie gratis. Roberto Carnero racconta la sua storia, leggetela. L'Italia non è un paese qualsiasi. Se l'Italia rinuncia alla conoscenza vivremo davvero come bruti, senza virtù, e non avremo altra risorsa. Investire sui furbi è il più grave delitto commesso da una sciagurata classe dirigente a cui non importa altro che della sua impunità e dei suoi privilegi. La storia lo dirà. Qualcuno fra 150 anni in qualche ateneo del globo studierà questo: come sia potuto accadere, mentre eravamo tutti a discutere del Tg1.

sabato 24 luglio 2010

Frequently Asked Questions

FAQ sull'Università e sul movimento dei ricercatori:

1) Quali sono le conseguenze principali del disegno di legge “Gelmini”?

1. Tagli al fondo di finanziamento ordinario, il fondo che viene utilizzato per mandare avanti l'Università pubblica italiana,
2. far gravare un'ulteriore riforma in un settore che viene riformato a ogni cambio di governo,

2) L'Università italiana è molto finanziata? Non produce ricerca? I laureati italiani vengono assunti all'estero?
1. No. Riceve lo 0.4% del P.I.L., molto meno dei paesi da noi spesso utilizzati come riferimento (Francia, Germania, UK, USA, Giappone, ecc.ecc.)
2. Si, produce ricerca. Anzi, rapportando i risultati (pubblicazioni scientifiche, brevetti, ecc.ecc) ai finanziamenti ricevuti, ha un ottimo rendimento.
3. Si, per loro fortuna. Quindi, il nostro sistema universitario è ancora in grado di produrre buoni (e qualche volta eccellenti) professionisti. Fino a quando?

3) Il disegno di legge “Gelmini” aiuta i giovani ricercatori?
1. No, perché crea una ulteriore posizione precaria (Ricercatore a tempo determinato) in un quadro economico che riceve tagli. Ovvero, ulteriori incertezze e precarietà.

4) Il disegno di legge “Gelmini” è contro i “baroni” universitari?

1. No, perché allenta i meccanismi democratici all'interno delle Università, dando molto più potere ai rettori e a pochi altri professori.
2. No, perché fa entrare figure private all'interno degli organi di decisione, senza specificarne le modalità di azione. Nell'Italia di oggi cosa significa? Più meritocrazia e trasparenza? (domanda retorica!)

5) Il disegno di legge “Gelmini” favorisce gli studenti?

1. Così dice il Ministro. L'unica cosa certa è che diminuisce i finanziamenti, quindi a parità di servizi offerti, bisognerà, come minimo, aumentare le tasse universitarie.

6) L'Università italiana è un mondo perfetto esente da colpe?

1. No, nessun componente dell'Università lo ha mai affermato (docenti, ricercatori, personale tecnico/amministrativo, precari e studenti). E' un sistema complesso, poiché include facoltà molto eterogenee tra loro, con diverse esigenze. Ricordiamo che l'Università agisce in regioni del paese povere e ricche. Va riformata con attenzione perché costituisce la ricchezza di un qualunque paese avanzato come l'Italia. Fino a quando?

7) Cos'è il movimento dei ricercatori?

1. E' un movimento spontaneo nato dopo la presentazione del disegno di legge Gelmini, non politicizzato, costituito da ricercatori e docenti universitari.

8) Quant'è diffuso in Italia?

1. Si sta diffondendo in tutta Italia, a macchia di leopardo.

9) Nell'Università italiana chi si oppone alla “valutazione” della ricerca e della didattica?

1. Nessuno, o meglio, non si oppongono i ricercatori, non si oppongono moltissimi docenti, non si oppongono gli studenti.
2. Sembra che si oppone solo la politica, nonostante i proclami di meritocrazia, visto che da anni non riesce a far partire definitivamente il CIVR (Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca) e a dargli pieni poteri.

10) Qual è l'obiettivo del movimento dei ricercatori?

1. Un obiettivo solo? Difficile semplificare tal punto. Forse, difendere l'Università pubblica italiana, intesa come istituzione, contro i qualunquistici attacchi di coloro che vorrebbero un paese meno cosciente e istruito.

11) Quali forme di protesta adotta il movimento?

1. I ricercatori e docenti hanno provato negli anni proteste pacifiche come le lezioni e le sedute di laurea nelle piazze, le notti dei ricercatori per illustrare i risultati delle ricerche, gli scioperi bianchi, ma i mezzi di informazione non hanno quasi fornito attenzione. Si è arrivati recentemente al blocco degli esami di profitto, non per andare contro gli studenti, ma per farsi sentire da chi non ascolta la protesta di coloro che,
in larghissima parte, hanno il solo torto di fare un lavoro con passione e dedizione.



Documento scritto da un Ricercatore dell'Università del Sannio

consigli per gli studenti

Ricevo e inoltro da un collega alcuni consigli per gli studenti che intendono protestare, eccone alcuni:

1) Prendere coscienza del fatto che gli studenti e la loro opinione sull'Università contano più di ogni altra cosa. Più di quella dei ricercatori, dei docenti, dei rettori e dei ministri. Sono loro i fruitori dell'Università.
2) Aspetto pratico: la loro opinione conta molto anche perché loro e le loro famiglie sono "voti" e i governi sono sempre sensibili a queste cose (figuriamoci quello in carica)

preso atto dei due punti precedenti

3) che gli studenti facciano assemblee
4) che chiedano prese di posizione e/o partecipazioni alle assemblee con i docenti/ricercatori delle loro facoltà
5) che chiedano di parlare con i sindaci delle loro città: saranno ricevuti,
6) che chiedano ai sindaci un tavolo istituzionale con le delegazioni parlamentari della loro città, di dx e di sx: saranno ricevuti
6 bis) possono anche inviare email agli indirizzi dei parlamentari della loro città. RIpeto, di solito sono sensibili a queste cose.
7) che si procurino i contatti (email e altro) delle testate giornalistiche locali, webtv, ecc. inclusi la testata tgr regionale
8) che inviino comunicati ai contatti di cui sopra, a raffica!!

UNIVERSITA': UDU, SI RITIRI DDL GELMINI O OPPOSIZIONE DI PIAZZA

(AGI) - Roma, 22 lug. - L'Unione degli universitari chiede "l'immediato ritiro" del ddl Gelmini dalla discussione parlamentare al Senato e minaccia una "forte opposizione di piazza". "Il ddl Gelmini - accusa Giorgio Paterna, coordinatore nazionale Udu - e' la pietra tombale di tutte le riforme che hanno affossato il sistema universitario negli ultimi decenni.
Se oggi, con i tagli, gli atenei sono sull'orlo del baratro tutti, senza distinzioni tra virtuosi, non virtuosi e virtuosismi altri, questo ddl e' il colpo finale per seppellire l'idea di Universita' pubblica, democratica e per tutti che un Paese civile, come lo era il nostro, dovrebbe preservare".
"Valditara si sbaglia - prosegue - e fa il gioco del ministro Gelmini, che vuole portare lo studio universitario ad essere un 'affare' per pochi e l'Universita' ad essere un'impresa che con logiche aziendalistiche scremi il mercato. La discussione parlamentare fino ad oggi svolta non ha prodotto nessuna modifica sostanziale dell'impianto della riforma che rimane quindi assolutamente irricevibile per l'Unione degli Universitari. E' una proposta di riforma che modifica alla radice ed in senso aziendalista il modello organizzativo delle universita', attraverso l'introduzione di privati nei consigli di amministrazione e l'assegnazione di tutti i poteri al rettore e ai Cda". "Con il ddl Gelmini - sottolinea - si cancella completamente ogni spazio (gia' marginale) di democrazia e partecipazione nelle universita' trasformandole in piccole monarchie assolute, piegando gli organi accademici agli interessi degli esterni e dei privati. Questa riforma non risolve nessuno degli attuali problemi del sistema universitario pubblico che, come hanno anche ricordato i rettori, e' prossimo al collasso a causa dei tagli e del sottofinanziamento. L'autonomia delle universita' viene mortificata attraverso imposizioni e decreti legge il cui contenuto non e' stato e non sara' mai discusso con la comunita' accademica". Il ddl Gelmini, denuncia ancora l'Udu, "e' contro l'universita' e la ricerca pubblica, contro i principi costituzionali, contro il diritto allo studio, contro il futuro delle nuove generazioni, contro il futuro del paese.
Chiediamo l'immediato ritiro dalla discussione parlamentare del ddl. L'Unione degli Universitari e' pronta a costruire per l'autunno un percorso di mobilitazione assieme a tuttte le componenti del mondo universitario e della societa' civile che hanno a cuore la difesa del sistema universitario pubblico e democratico". (AGI) .

la riforma Gelmini farà fallire l'Università

Ceruti: la riforma Gelmini farà fallire l'Università


Il senatore del Pd Mauro Ceruti, filosofo e docente all'Ateneo bergamasco,firma un pezzo su l'Unità in merito alla riforma Gelmini:

"La riforma Gelmini dell'università era stata definita una opportunità storica. Dopo mesi di lavoro, è solo un’opportunità mancata. Questa riforma è infatti un enorme taglio e, di fatto, siamo passati dalla «riforma Gelmini» alla «riforma Tremonti». Si tratta in sostanza di una significativa riduzione di investimenti, «una riforma-taglio» che colpisce quattro grandi risorse dell'università. Taglia 1,3 miliardi per il 2011: ciò, come affermano gli stessi Rettori, corrisponderà di fatto al fallimento della maggior parte degli Atenei italiani. Colpisce 26 mila ricercatori, collocati da questa riforma su un binario morto. Colpisce gli studenti, il diritto allo studio, il loro welfare e, soprattutto, la loro mobilità. Penalizza i giovani, che sono il futuro dell'università, del sapere, e quindi anche dell'economia e del Paese.
È una riforma fallita in partenza anche dal punto di vista dei principi ispiratori che volevano essere alla base del progetto di riforma del ministro Gelmini. Principi condivisi dal Partito Democratico, così come dalle parti sociali, dalla Confindustria che ha fortemente sostenuto questa riforma, e dagli attori del mondo accademico.
C'è da domandarsi perché tanto consenso sui principi ispiratori abbia prodotto un ddl che li contraddice radicalmente. I principi sono quattro: l'autonomia dei singoli Atenei, alla quale il ddl ha risposto con decine di norme centralistiche; la promozione della responsabilità dei singoli Atenei, impedita di fatto dalla risibile autonomia; la valutazione dei risultati della ricerca e della didattica dei singoli Atenei. Ma senza autonomia e responsabilità non si saprà che cosa valutare e, soprattutto, con un'Agenzia della valutazione (ANVUR) privata di risorse e competenze non si saprà chi potrà valutare. Infine, il quarto principio, il merito, sarà soltanto un proclama vuoto di contenuti per due ragioni: senza sostegno alla qualità della formazione e della ricerca, il merito non potrà emergere e, senza sostegno al diritto allo studio, non potrà emergere il merito degli studenti meno abbienti. Questo è un fallimento, e tanto più grave perché la conoscenza, la ricerca e la formazione superiore sono condizioni indispensabili per uscire dalla gravissima crisi che stiamo vivendo e per mantenere ancorato il nostro paese all’Europa, attraverso il conseguimento degli obiettivi concordati a Lisbona 11 anni fa.
Si tratta di reale irresponsabilità o di un disegno che vuole portare l'Italia al di fuori del mondo sviluppato e democratico? Il Partito Democratico si opporrà con ogni forza a questa deriva, difendendo il futuro dei giovani, degli studenti, dei ricercatori e promuovendo maggiori investimenti e risorse economiche per l'università, che questa «riforma Gelmini» diventata «riforma Tremonti» ha così drasticamente tagliato".

Mauro Ceruti

venerdì 23 luglio 2010

Questo è uno schiaffo per tutti: docenti e studenti...

"Quella cerimonia per Barbara Berlusconi ha offeso noi professori e i nostri studenti"
La lettera di una docente dell'Università San Raffaele dopo la laurea della figlia del premier
"Il rettore don Verzè si è rivolto solo a lei, alla presenza del premier, offrendole una cattedra"
di ROBERTA DE MONTICELLI



Insegno filosofia della persona alla facoltà di Filosofia dell’Università Vita Salute San Raffaele. Scrivo queste righe per dire: non in mio nome. Non è certamente in mio nome che il nostro rettore, don Luigi Verzé, intervenendo come è suo diritto alla cerimonia delle proclamazioni delle lauree, si è rivolta alla sola candidata Barbara Berlusconi, che giungeva a conclusione del suo percorso triennale, chiedendole se riteneva che potesse nascere una facoltà di Economia del San Raffaele basata sul pensiero dell’autore sul quale verteva la sua tesi (Amartya Sen), e invitandola a diventare docente di questa Università, in presenza del presidente del Consiglio, il quale assisteva alla cerimonia.

La cerimonia di laurea di Barbara Berlusconi

Intendo dissociarmi apertamente e pubblicamente da questa che ritengo una violazione non solo del principio della pari dignità formale degli studenti, non solo della forma e della sostanza di un atto pubblico quale una proclamazione di laurea, non solo della dignità di un corpo docente che il rettore dovrebbe rappresentare, ma anche dei requisiti etici di una istituzione universitaria d’eccellenza quale l’Università San Raffaele giustamente aspira a essere.

Tengo a dissociarmi nettamente e pubblicamente e da queste parole e dalla logica che le sottende, logica che da una vita combatto, come combatto da sempre il corporativismo e i sistemi clientelari dell’Università italiana, e il progressivo affossamento di tutti i criteri di eccellenza e di merito, oltre che dell’Università stessa come scuola di libertà.

Me ne dissocio individualmente, anche se spero che la deprecazione dell’accaduto sia unanime fra il corpo docente. Ma tengo a ribadire con questa mia serena dichiarazione che non sono né di principio né di fatto corresponsabile dell’andamento di questa cerimonia: non di principio per le profonde ragioni di dissenso che ho qui espresso, non di fatto, perché in effetti non figuravo fra i componenti della commissione relativa alla candidata in questione, e certamente non perché avessi chiesto di esserne esonerata.

"In gioco il futuro del Paese"

I ricercatori scrivono a Repubblica
"In gioco il futuro del Paese"

I ricercatori scrivono a Repubblica "In gioco il futuro del Paese" A Palermo esami all'aperto contro i tagli della riforma Gelmini

Sono moltissime le lettere arrivate alla direzione di Repubblica dopo la pubblicazione, il 21 luglio scorso, dell'articolo di Benedetta Tobagi sulla situazione dei ricercatori nelle università italiane. L'analisi ha raccolto moltissimi apprezzamenti da parte di docenti che sentono il proprio ruolo sottovalutato e a rischio. E che offrono ancora nuovi contributi alla discussione con le proprie esperienze personali. Visto l'interesse per il tema, abbiamo deciso di riaprire il dibattito con i vostri commenti.



Gentile Direttore,
le scrivo per ringraziarla per l'articolo apparso su repubblica il 21 c. m. sui Ricercatori universitari, finalmente un articolo circostanziato, approfondito e veritiero sulla nosta attività e sulla nostra condizione come non siamo più abituati a leggere da molto tempo. Se posso permettermi un piccolo appunto, non è stata la riforma Moratti a "mettere una pezza" perché il professore aggregato è un titolo, e non un ruolo, dunque non ha alcun valore, sono state le precedenti leggi sugli ordinamenti didattici (es. 341/90 e succ.) a dare un embrione di riconoscimento del fatto che concorriamo, al pari dei professori universitari, a garantire l'offerta formativa degli atenei italiani; purtroppo oggi tutto questo viene messo in discussione da tutte le forze politiche, persino l'emendamento presentato ieri dal PD, al Senato, è inaccettabile perché non riconosce il nostro impegno pregresso e non fornisce sbocchi futuri credibili;
tutto questo costituirà un problema per noi, ma ancor più per i più giovani, gli attuali precari, e un'università e una ricerca di qualità non si reggono sulla paura di essere sbattuti fuori né sugli stipendi che, grazie alla legge Tremonti, saranno sempre più miserevoli. Comunque fa piacere, almeno ogni tanto, leggere un articolo ben documentato.
Marina Rui
Università di Genova

Gentile direttore,
Le scrivo per ringraziare lei e la sua testata per la sensibilità dimostrata nel dedicare un'intera pagina nella sezione cultura di Repubblica al "povero ricercatore". Credo che oggi piu che mai ci sia un problema di (dis)informazione su questioni oggettive che purtroppo si prestano a mistificazioni deleterie in materia pertanto ben venga una ventata di informazione corretta e a piena pagina! E' iniziato infatti il cammino in senato del DDL Gelmini (proprio oggi) e ci sono molte cose del disegno di legge che non vanno (non le spieghero io che cosa... su rete29aprile si possono trovare molte informazioni a proposito). Scusi se oso... proprio perché il momento è culminante... sarebbe bello vedere su repubblica un piccolo box (rosso) come per la legge bavaglio con scritto: "il DDL Gelmini UCCIDE l'università pubblica". Forse il rettangolino, a forza di usarlo si inflazionerebbe... ma le assicuro sarebbe un piccolo passo per dare voce a migliaia di persone che temono lo strangolamento lento (ma neanche cosi lento) dell'università e che (e io questo sto facendo) chiedono una mano per dare voce alla protesta. Una protesta che non è solo opposizione ma anche PROposizione.
Alberto Acquadro
Ricercatore - M. Sc. - Ph. D. University of Turin - Plant Genetics and Breeding

Gentile direttore,
condivido quello che Benedetta Tobagi ha scritto e la ringrazio per aver pubblicato notizie vere e precise su un problema cruciale, ma trascurato da molti.
Simonetta Peccenini
DIPTERIS - Università di Genova

Caro Direttore,
l'articolo di Benedetta Tobagi descrive benissimo la situazione dell'università in generale e dei ricercatori in particolare.
Carla Armanino
Ricercatore Università di Genova

Buongiorno
la ringrazio dell'articolo pubblicato. Tenga conto che la protesta dei ricercatori blocca moltissimi Atenei, e ricordo che nessuno di noi chiede una ope legis. Noi vogliamo essere valutati scirentificamente anche sapendo che tutta la didattica fatta da anni come volontari non ci è valutata.
Angela Celeste Taramasso PhD
DIST Dipartimento di Informatica Sistemistica e Telematica

Egregio Direttore,
le scrivo questa mail per porgere il mio apprezzamento per l'articolo di Benedetta Tobagi. Ha colto pienamente il problema e la drammatica situazione in cui l'università italiana versa, e nubi sempre più fosche si stanno profilando. Posso garantirle che anche per chi come me è "sistemato" (sono professore associato), è fortissima la tentazione di
mollare tutto ed emigrare verso nazioni più illuminate. I giovani, poi, sono sempre più disillusi e scoraggiati. La saluto, sicuro che la Repubblica continuerà nella sua opera meritoria di denuncia e documentazione della tragica situazione italiana, nonostante tutto e tutti.
Marino Miculan
Dept Math Compu Sci, University of Udine

Grazie molte per l'articolo. Grazie davvero, perché non è facile trovare qualcuno che difenda l'università italiana.
Viviana Bono (prof. associato, Univ. Torino)

Caro direttore,
ho letto ieri, con molto piacere, l'articolo apparso su Repubblica intitolato "Povero ricercatore sottopagato e sfruttato ma indispensabile" a firma di Benedetta Tobagi. L'articolo descrive la situazione reale dell'Università ed in particolare quella della figura del ricercatore. E' forse la prima volta che vengono fedelmente descritti il lavoro, le condizioni economiche e sociali ed il ruolo dei ricercatori universitari, nonché quello dell'università tutta, evidenziando l'impatto socio-economico che la ricerca universitaria ha necessariamente (e forse non avrà più!) sulla società.
Vorrei ringraziarvi per non essere caduti nei soliti luoghi comuni e per aver dato la giusta dimensione alla protesta dei ricercatori italiani ora estesa anche a professori, precari e studenti. Grazie ancora,
Alessandro Barge
(Ricercatore universitario "indisponibile")
Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco Università di Torino

Carissimo Direttore,
voglio ringraziare Lei e l'autore dell'editoriale per aver ben raccontato la triste situazione di noi ricercatori universitari italiani.
Alessandra Durio
Ric. Univ. Torino

Caro Direttore,
mi congratulo con Lei per l'articolo apparso il 21 luglio. Finalmente un articolo in controtendenza rispetto alla produzione mediatica tendente a presentare l'Università come un luogo di consorterie, sprechi, privilegi, privo ormai di reale funzione sociale. La protesta dei ricercatori, fatta propria da molti professori associati e ordinari, mette il dito su una delle piaghe del nostro Paese: la sua classe dirigente non vede nella ricerca il motore per la crescita non solo economica ma anche culturale e sociale del Paese. L'Università, dunque, come la scuola, è solo un "problema", con dei costi da tagliare, e non una "risorsa" nella quale investire, pur razionalizzando.
La invito a proseguire nel dare spazio a voci che permettano all'opinione pubblica di conoscere meglio una realtà complessa quale l'Università, che, è bene ricordarlo, nei secoli ha sempre rappresentato un luogo di resistenza contro derive autoritarie e involuzioni culturali.
Gianni Balliano
Professore ordinario di biochimica Università degli Studi di Torino

Ho letto con grande piacere l'articolo. Ringrazio Lei e Benedetta Tobagi per aver rappresentato la realtà dell'Università con una voce totalmente fuori dal coro nell'attuale diffuso asservimento dell'informazione ai politici dell'attuale governo. La sicurezza che Repubblica continuerà in questa linea aiuta il lavoro quotidiano di molti servitori dello stato.
Mariangiola Dezani-Ciancaglini
Professore Ordinario di Informatica. Dipartimento di Informatica Università di Torino


Egregio direttore,
desidero esprimerle il mio apprezzamento per l'articolo di Benedetta Tobagi. Era ora che La Repubblica tornasse ad occuparsi della situazione dell'Università. E mi auguro che continui a farlo, soprattutto in questi giorni decisivi .
Prof. Ferruccio Damiani
Dipartimento di Informatica. Università degli Studi di Torino


Ho molto apprezzato l'articolo apparso oggi a firma di Benedetta Tobagi che descriveva con chiarezza la situazione
professionale difficile che viviamo noi "giovani" ricercatori e la protesta che stiamo protando avanti contro i disegni del governo di distruzione dell'università pubblica,
Matteo Viale

Buonasera direttore,
sono un ricercatore di Torino di 42 anni e parto domani per la California, dove vado a incontrare alcuni colleghi per un eventuale trasferimento nel 2011. Ho letto l'articolo sulla situazione dei ricercatori e lo ho molto apprezzato. Ho partecipato molto attivamente alla manifestazioni contro le riforma Gelmini, anche se posso capirne alcune motivazioni (siamo arrivati a proporre lo sciopero della fame, a cui sono ancora prontissimo), ma le assicuro che il destino di molti di noi è stato determinato in larga misura da scelte che ci sono passate sulla testa. Faccio un lavoro in cui credo tantissimo e continuo a crederci con tutto me stesso, ma non posso non notare intorno a me i segni inequivocabili di un declino dell'università italiana. Non vorrei che succedesse ai miei giovani colleghi quello che è successo a me quando mi sono sentito per la maggior parte del tempo una pedina spostata da altri. La carenza di fondi e un sistema che fino ad adesso è stato ampiamente nepotistico, ci tagliano le gambe. Sono stato chiamato dal presidente della mia regione di origine nel 2007 per ricevere insieme ad altri colleghi, molto migliori di me, un riconoscimento da parte della regione Puglia, faccio parte della "Rete dei talenti" ... lo sa quante volte si è riunita dopo quel giorno dell'ottobre 2007? Mai ! Continuo ad essere ottimista per convinzione e per natura, ma la prospettiva di un mondo in cui sei valutato per quello che sai fare veramente, dove si sente ancora scorrere il sacro fuoco della passione e della competizione, mi attrae irresistibilmente. Sarà pure un discorso retorico e logoro, ma le assicuro che è tristemente vero. Sotanto mia moglie e mio figlio mi hanno frenato fino a oggi.
Le rinnovo i miei più sinceri complimenti per l'articolo e spero che il suo giornale voglia cotinuare a schierarsi su questa bellissima battaglia civile che è la difesa della nostra università.
Benedetto Sicuro
Università di Torino, Facoltà di Veterinaria

Complimenti per l'articolo sui ricercatori e sull'Università pubblica. E' un disastro che si sta compiendo però parlarne può aiutare a prendere coscienza della dimensione del problema.
Salvatore Barbera

Gentile Direttore,
sono una ricercatrice dell'Università degli Studi di Torino. Ho molto apprezzato gli articoli apparsi sul Suo giornale
in merito alla questione ricercatori e al decreto Gelmini. Grazie.
Daniela Acquadro Maran, PhD
Dipartimento di Psicologia Università degli Studi di Torino

Gentile Direttore,
sono una ricercatrice in matematica dell'Università di Genova, ho letto l'articolo del 21 luglio sulla protesta dei ricercatori e volevo complimentarmi, è scritto molto bene e descrive perfettamente la situazione dei ricercatori.
Patrizia Bagnerini
Diptem - Università degli Studi di Genova

Gentile direttore,
ho molto apprezzato l'articolo che il Suo giornale ha dedicato alla figura del ricercatore universitario e alle relative problematiche. L'ho trovato estremamente misurato, corretto ed esaustivo, e viene a colmare un silenzio fin troppo assordante.
Lia Ogno
Dip. di Scienze Letterarie e Filologiche Università degli Studi di Torino

Gentile Direttore,
La ringrazio per il bell'articolo pubblicato ieri sulla testata che dirige. E' stato con gioia che mi sono finalmente trovata a leggere un articolo su di un prestigioso quotidiano nazionale con un contenuto che rifletteva pienamente la mia visione della situazione attuale dell'Accademia italiana, e del ruolo della mobilitazione dei ricercatori in essa. Per me, non entusiasta abbonata a La Stampa per ragioni di convenienza (tendo a leggere il quotidiano a colazione, prima di uscire al lavoro e mi è molto comoda la distribuzione a domicilio) e al Fatto Quotidiano per sostenere la libertà di stampa, ed ex-cervello in fuga (che dopo 9 anni di lavoro in prestigiose università straniere ha affrontato un
rientro piuttosto traumatizzante) rappresenta un'ottima "pubblicità" alla linea del vostro giornale, che seguo con crescente attenzione.
Tiziana Nazio, PhD
Assistant Professor, Social Sciences Department Affiliate, Collegio Carlo Alberto University of Turin

Caro Direttore,
ho molto apprezzato la pagina che ieri Repubblica ha dedicato all'Università, cercando di andare al cuore dei problemi ed evitando il solito tono scandalistico con il quale "baroni" che si fanno vedere in dipartimento poche ore al mese attaccano il "sistema baronale" e plaudono al progetto governativo, che concentra tutto il potere nelle mani di una
cerchia sempre più ristretta di professori ordinari. Colgo l'occasione per manifestare la mia stima ed il mio affetto a
Benedetta Tobagi, per l'esemplarità della sua storia che ci riconcilia con l'italianità.
Stefano Sciuto
Direttore del Dipartimento di Fisica Teorica dell'Università di Torino

Gentile Direttore,
vorrei manifestare il mio apprezzamento per l'articolo a firma di Benedetta Tobagi. Mi pare riassuma efficacemente la situazione, nell'interesse di tutti.
Daniele Teobaldo

Caro Direttore, ho molto apprezzato che nella sezione Cultura di Repubblica sia apparso, ieri 21 luglio, l'articolo di Benedetta Tobagi sui ricercatori universitari. Ho anche apprezzato il tono serio e informato e non scandalistico come oramai siamo abituati e vedere, ahimè qualche volta anche su Repubblica. Interessante anche l'articolo di Tito Boeri oggi "La riforma immaginaria dell'Università che muore". Un solo breve commento: è vero che dato che l'università muore non si deve rifiutare la cura (la riforma), ma se la cura invece di essere un farmaco è un veleno, è giusto opporsi. Non si può confondere chi si oppone alla riforma con chi vuole lascaire le cose come stanno.
prof. Franco Sirovich
Corso di Studi in Informatica Dipartimento di Informatica Università di Torino

Caro Direttore,
mi compiaccio vivamente per l'attenzione che Repubblica dedica al problema dello sfascio dell'istruzione pubblica in Italia, e sono stato contento di leggere l'articolo di ieri dedicato alla situazione dei Ricercatori. Come astronomo passato di recente nelle carriere dell'INAF, mi piacerebbe leggere altri articoli che documentino come la ricerca astrofisica in Italia, che vanta una tradizione assolutamente invidiabile e che continua a produrre lavori scientifici di assoluto valore internazionale, si trovi ormai anch'essa "alla frutta" in conseguenza dei tagli ai finanziamenti. Mesi fa era uscito un altro articolo sul suo (dovrei dire "nostro", dato che sono un lettore fedele) giornale, dedicato alla situazione dell'Antenna Radio in Sardegna, articolo che aveva fatto inviperire molti colleghi dato che si sottolineavano anche le carenze di programmazione di questa impresa, e la sostanziale assenza di fondi per il mantenimento ed il
funzionamento dello strumento. I guai dell'INAF sono anche conseguenza di una gestione che non è sempre stata all'altezza dei suoi compiti, ma è chiaro che le condizioni al contorno si sono fatte in questi anni progressivamente più sfavorevoli per la sopravvivenza di un'attività di ricerca di rilievo nel nostro Paese in questo disgraziato momento storico. Sono certo che Repubblica continuerà la sua battaglia per promuovere il ritorno della legalità e della normalità democratica nel nostro Paese, e per favorire una ripresa della cultura e della conoscenza, senza le quali non si va lontano. Come diceva il Procuratore Borrelli, l'unica cosa che possiamo fare in questa congiuntura è Resistere! Resistere! Resistere!
Alberto Cellino
INAF - Osservatorio Astronomico di Torino

(23 luglio 2010)

Aggiornato articolo di Benedetta Tobagi: LEGGETE!

Università, povero ricercatore
sottopagato e sfruttato ma indispensabile
L'università intera si basa su questa figura, ormai non più giovane, che ha pochi fondi a disposizione ma è costretta a fare il lavoro del docente
di BENEDETTA TOBAGI

Non sono più giovanissimi: hanno in media 45 anni. Il loro lavoro nelle università statali e negli enti di ricerca pubblici amplia gli orizzonti della conoscenza a beneficio di tutta la società: dalle nanotecnologie alla biogenetica, dalla fisica delle particelle alla paleontologia, dalla ricostruzione dei papiri alessandrini al diritto del lavoro. La ricerca in università dovrebbero farla tutti, dai dottorandi ai professori, ma solo loro la portano iscritta nel nome come un destino. Eppure, spesso non possono praticarla come dovrebbero (e vorrebbero): perché mancano i fondi, o perché oberati di incarichi che poco hanno a che fare con il loro contratto. I reportage spesso ce li hanno mostrati come carbonari, rintanati in laboratori privi delle infrastrutture essenziali, mentre la retorica governativa oggi li accomuna ai "baroni", arroccati a difesa dei propri privilegi. Che spesso, per loro, si riducono alla mensa a prezzo politico. Martiri o fannulloni: chi sono i ricercatori?

Nella gerarchia accademica, sono la fascia intermedia tra i gironi dei dottorandi, dottori di ricerca, "borsisti" e "assegnisti" (i "precari" dell´università) e l'empireo dei professori. Sono circa 25 mila (pochi in rapporto alla popolazione attiva, rispetto alla media Ue). Navigando nei blog in cui si scambiano esperienze e doglianze scopriamo una vita di grossi sacrifici, innanzitutto economici. I ricercatori guadagnano poco. Questo, oltre a mortificare socialmente e mettere a dura prova la resistenza di chi svolge un lavoro impegnativo e super-qualificato, riduce la competitività: a queste cifre, i più bravi cercano un posto all´estero, dove si può guadagnare più del doppio. Ma sono soprattutto le frustrazioni e i soprusi di un sistema di fatto feudale (magistralmente Nicola Gardini nel libro I baroni, Feltrinelli) ad avvelenargli l´esistenza. Molti abbandonano: sopravvivere richiede una capacità di adattamento e di sopportazione molto elevata. Certo, il lavoro intellettuale ha bisogno di volontà, autodisciplina e spirito di sacrificio. Ma siamo certi che tacere e adattarsi siano le virtù migliori da promuovere in figure la cui attività principe, la ricerca, richiede originalità di visione e spirito critico? Per cui ben vengano, i fermenti di questi mesi. Perché l´università è assai poco democratica: i ricercatori rappresentano il 40 per cento del personale di ruolo, ma non hanno quasi voce in capitolo nelle scelte strategiche di un ateneo. Con la riforma Gelmini andrà peggio: cda e senato accademico perderanno gli attuali caratteri di rappresentatività, lamenta Piero Graglia, un ricercatore come tanti, uno dei coordinatori della "Rete 29 aprile" che censisce e dà voce alle posizioni di ben 15 mila ricercatori in tutta Italia, impegnati per ovviare a questo deficit di democraticità e contro la riforma Gelmini.

Ma servono davvero i ricercatori? Se sparissero, cosa accadrebbe?
Per prima cosa, la paralisi della didattica universitaria. Non è un esercizio di fantascienza: per protesta i ricercatori minacciano di astenersi dall´attività didattica, mettendo a rischio l´anno accademico e interi corsi di laurea in molti atenei. Si limitano ad applicare la legge: anche se molti studenti li chiamano "prof", sono solo "dott" (vedi box). Ma la didattica universitaria oggi è "drogata", il massiccio ricorso alle docenze dei ricercatori (circa il 30 per cento degli insegnamenti), spesso non retribuite, sempre sottopagate, è coinciso con l´esplosione dell´offerta formativa nell´università del "3+2". Spesso non c´è una maggiore articolazione dei saperi, specchio dell´accresciuta complessità del presente, ma doppioni e frammentazione che rispondono piuttosto a logiche di marketing («e di "bulimia baronale"», aggiunge Graglia). I ricercatori hanno sempre insegnato: per formarsi, per senso del dovere, passione, prestigio. La riforma Moratti ha messo una pezza (vedi box), ma è iniquo che l´università speri di sopravvivere sfruttando i ricercatori in veste di professori, senza che ne abbiano lo status né la retribuzione. La nuova riforma non affronta questo nodo, e nemmeno razionalizza l´offerta formativa. L´astensione dalla didattica, che preoccupa ministero, presidi e rettori, dovrebbe funzionare (questo è l´intento dei ricercatori) come black out, che mette a nudo un deficit di energia strutturale: occorre far prendere coscienza al governo e a tutti i cittadini che il sistema veleggia verso il collasso. I pensionamenti nei prossimi anni lasceranno scoperte molte cattedre. Non ci sono soldi per rimpiazzare tutti i professori. Si può dissentire col metodo della protesta, ma l´emergenza che impone all´attenzione del pubblico è reale.

Nelle università statali la necessità di pagare gli stipendi e tenere in piedi la struttura in presenza di forti tagli peggiora la situazione di cronica carenza di fondi per la ricerca. Un black out qui non darebbe esiti plateali: l´alta ricerca è un´impresa che dà i suoi frutti nel lungo periodo. Ma è strategica per il paese. Per capirlo, basta dare un´occhiata al recente Rapporto sulle biotecnologie in Italia (tipico settore research-intensive) dell´Ice: a dispetto della crisi, questo settore nato solo 10 anni fa prospera e compete a livello internazionale (grazie ai privati: anche qui l´investimento pubblico è insufficiente). L´importanza dell´alta ricerca non sta solo nel suo ritorno in termini economici: seppure assai decaduta, l´università resta pur sempre la fucina del progresso scientifico, del pensiero che si arma per decodificare una realtà in veloce cambiamento e agire di conseguenza. Non si può imputare alla riforma Gelmini la cronica povertà degli investimenti, né i guasti di 20 anni di riforme universitarie monche e miopi, da destra e sinistra, che non hanno intaccato i vizi strutturali del sistema. Questa riforma però mette ulteriormente a rischio e sotto pressione il capitale umano, la risorsa più preziosa dell´università, e non solo perché taglia i fondi. I nuovi ricercatori saranno a tempo determinato. Poi dipenderà dalla copertura finanziaria. Elevato il rischio che molti siano bloccati o espulsi dal sistema. «I 25 mila ricercatori di oggi, e quelli a tempo determinato del post-Gelmini, si troveranno a competere per sempre meno posti da professore associato. Una "guerra tra poveri" a fronte di un potere baronale intatto, che avrà in mano come sempre i concorsi», spiega Graglia. La "Rete 29 aprile" ragiona piuttosto sull´introduzione di un ruolo unico per tutti, professori e ricercatori, articolato in livelli: progressione per maturità scientifica e anzianità, valutazione triennale su produzione scientifica e didattica. Se il professore lavora male niente avanzamenti, ultima ratio allontanamento dall´università: «Per generare vera competizione e uno choc generazionale, anziché una guerra tra poveri».
Le proteste dei ricercatori pongono problemi da risolvere nell´interesse di tutta la società, che sarà danneggiata se l´università, impoverita e ridotta a un super-liceo, smetterà di essere la fucina di innovazione, cultura e pensiero che dovrebbe essere.

(21 luglio 2010)

mercoledì 21 luglio 2010

6 settembre 2010

L'appello di settembre avrà luogo il 6 alle ore 15,30, luogo da definirsi.
Gli studenti sono invitati a PRENOTARSI CON ATTENZIONE agli appelli CONTROLLANDO PRIMA IL CODICE DELL’ESAME sul proprio piano di studi. Coloro che non hanno matricola possono iscriversi mandando una mail entro e non oltre il 2 settembre ore 15 all’indirizzo email bruna_mancini@yahoo.it indicando nome cognome matricola e corso frequentato.

BM

MOZIONE DEL CONSIGLIO DI DIPARTIMENTO DEL DEIS

Rende, 14 luglio, 2010
MOZIONE DEL CONSIGLIO DI DIPARTIMENTO DEL DEIS (DIPARTIMENTO DI ELETTRONICA,
INFORMATICA E SISTEMISTICA) DELL’UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA
I professori e ricercatori della Dipartimento di Elettronica, Informatica e Sistemistica dell’Università
della Calabria,
- visto il testo della manovra del DL 31 maggio 2010 n.78 "Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica",
- visto il contenuto del DDL 1905/09 attualmente in discussione in Parlamento,
- visti i documenti espressi da numerose Facoltà d’Ingegneria, quali: la II Facoltà d’Ingegneria
dell’Università di Bologna, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Cassino, la I e la II
Facoltà d’Ingegneria Del Politecnico di Bari, la Facoltà d’Ingegneria della Federico II di
Napoli la Facoltà d’Ingegneria della seconda Università di Napoli, la Facoltà d’Ingegneria
dell’Università di Padova, il Politecnico di Torino, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di
Parma, la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Salerno, la Facoltà d’Ingegneria
dell’Università del Sannio.
Sottolineano
- il ruolo cruciale svolto dai Ricercatori all'interno delle Università, sia per le attività di
ricerca, sia per quelle didattiche,
- che, a causa del sottodimensionamento del personale docente, le attività didattiche affidate
ai ricercatori vanno ben oltre i compiti istituzionali (specificati nel DPR 382/80),
- che allo stato attuale manca uno stato giuridico dei ricercatori con l'esplicito riconoscimento
dei loro diritti e dei doveri,
- che l'estrema carenza di occasioni concorsuali ha determinato, negli anni, un forte
sentimento di scoramento e demotivazione nella categoria dei docenti.
evidenziano che:
1. I docenti universitari chiedono di essere sottoposti a meccanismi seri di valutazione del
merito e non vogliono sottrarsi a sacrifici e misure anche severe purché eque. Le misure
previste per i docenti universitari, che già dalle statistiche OCSE risultano tra i meno
remunerati d'Europa, sono invece inique, punitive e di una entità inaudita;
2. Il ddl Gelmini di riforma dell'università, qualora approvato dal Parlamento, stravolgerebbe la
natura e l'autonomia del sistema universitario pubblico del Paese, senza risolvere nessuno
dei suoi problemi, che pure chiedono di essere superati;
3. Il ddl Gelmini restringe in modo inaccettabile le prospettive di avanzamento di carriera,
mediante concorsi pubblici, di ricercatori e professori associati, in particolar modo per gli
attuali ricercatori a tempo indeterminato. Per i giovani non ci sarà accesso alla carriera
universitaria nei prossimi anni;
4. La manovra proposta dal governo riduce ulteriormente ed in maniera sensibile le risorse
destinate all'Università e quindi alla ricerca e alla formazione, fondamentali per lo sviluppo
culturale, economico e sociale di un Paese civile;
5. la manovra non sana per nulla il pesante taglio ai finanziamenti per l'università operato dalla
ben nota Legge 133/08, per cui le risorse che si libereranno per effetto del turn-over nei
prossimi anni, durante i quali un numero estremamente elevato di docenti verrà collocato a
riposo, dovrà essere impiegato dalle Università per porre rimedio ai tagli e si determinerà
così una perdita secca di posti di ruolo che, insieme alla drastica riduzione dei fondi, porterà
al sostanziale azzeramento delle opportunità di investimento e di inserimento e progressione
di carriera per il personale docente.
Alla luce di queste considerazioni I professori e ricercatori del Dipartimento di Elettronica,
Informatica e Sistemistica dell’Università della Calabria
chiedono con forza
una revisione del DDL 1905/09 e della Manovra Finanziaria che prenda in particolare considerazione
i seguenti elementi, ritenuti di importanza fondamentale per il futuro dell'Università Pubblica:
1. l'utilizzo sistematico di una valutazione nazionale dei meriti scientifici e didattici come
metodo prevalente della distribuzione delle risorse;
2. un assetto gestionale degli Atenei più partecipato dalle componenti universitarie ed un
maggior equilibrio nella distribuzione delle responsabilità di gestione fra CdA, Rettore e
Senato Accademico di quanto previsto dal ddl Gelmini;
3. l'eliminazione dei tagli indifferenziati al finanziamento degli atenei;
4. la previsione, fin da subito, di un flusso di risorse costante che permetta il bando, nei
prossimi anni, a ritmi certi, di: a) un numero significativo di posti di Ricercatore, in modo da
poter inserire forze nuove e giovani nel sistema; b) un numero congruo di posizioni da
Professore Associato e Ordinario che garantisca il diritto ad essere valutati e permetta ai
meritevoli, senza introduzione di corsie preferenziali, il passaggio di ruolo;
5. il recupero degli incrementi stipendiali e degli scatti bloccati per il triennio 2011-2013.
decidono
al fine di rendere tutti consapevoli delle gravi ripercussioni che l'eventuale attuazione della
manovra finanziaria e l'approvazione del DDL 1905 produrrebbero nel mondo universitario e di
conseguenza nel Paese:
- di dichiarare lo stato di agitazione permanente fino alla conclusione dei lavori parlamentari
per l'approvazione del DDL 1905/09 e della Manovra Finanziaria;
- di intraprendere fin da subito uno “sciopero bianco” che veda una perdurante astensione da
tutte quelle attività didattiche e organizzative che vengono esercitate liberamente giorno
per giorno ma non sono obbligatorie per legge;
- di astenersi dal tenere nel prossimo anno accademico insegnamenti ulteriori oltre quelli
dovuti per legge;
- di chiedere ai Corsi di Laure di far precedere l'inizio di ogni seduta di laurea dalla lettura di
un comunicato che renda edotta la pubblica opinione delle gravissime conseguenze che i
provvedimenti già presi e quelli attualmente all'esame del Parlamento potrebbero avere di
sospendere gli esami di profitto e di laurea dal al luglio 2010, fermo restando il rispetto della
normativa nazionale;
- di promuovere altre forme più articolate ed incisive di agitazione nel caso in cui le richieste
sopra avanzate vengano disattese dagli organi competenti.
Da mandato al direttore
- di diffondere le ragioni della protesta dei professori e ricercatori del DEIS attraverso la
stampa ed altri mezzi di comunicazione,
- di farsi promotore, insieme agli altri direttori di dipartimento, di un incontro con i
parlamentari calabresi per discutere delle ragioni della protesta

Manifesto: «Basta giochi di rimessa, il ddl è inemendabile»

http://www.flcgil.it/notizie/rassegna_stampa/2010/luglio/manifesto_basta_giochi_di_rimessa_il_ddl_e_inemendabile


«Il disegno di legge Gelmini sull'università è inemendabile. Va solo ritirato. Questo dovrebbero dire domani le opposizioni in Senato - afferma Domenico Pantaleo, segretario della Federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) della Cgil - Bisogna proporre un modello radicalmente alternativo contro il progetto del governo che mette in competizione gli atenei, ridimensiona il ruolo dei Senati accademici, accentra il potere nelle mani dei rettori, cancella la ricerca dall'università, oltre che il diritto allo studio».
È una critica al Pd che ha comunque promesso di dare battaglia in Senato?
Non voglio insegnare nulla alla politica, né la politica ha qualcosa da insegnare al sindacato. Che il Ddl sia inemendabile lo dicono i ricercatori che si asterranno dalla didattica non obbligatoria il prossimo anno accademico, gli studenti, la parte più avveduta dei docenti e molti organi accademici che si sono espressi in questo senso.
I sostenitori della riforma Gelmini sostengono che sono tutte persone che difendono lo status quo dell'università...
Dobbiamo intenderci su cosa significa «status quo». Per me è quello che vuole fare un governo che non ha alcuna intenzione di sbarrare la strada alle baronie e anzi impone il blocco del turn-over contro i giovani ricercatori e rende inutile il proposito della Gelmini di abbassare l'età pensionabile dei docenti a 65 anni. Sono d'accordo con la battaglia contro gli sprechi nella scuola e nell'università, ma per essere davvero efficace bisogna eliminare il sistema clientelare e reinvestire tutti i risparmi nella didattica e nella ricerca, nei programmi e nel diritto allo studio.
È possibile che il governo accetti di rifinanziare l'università dopo l'approvazione della riforma?
È così, ma questo paradigma dev'essere ribaltato. Approvare il Ddl non significa che verranno ritirati i tagli al fondo ordinario di finanziamento degli atenei che nel 2011 sarà di un altro 17 per cento. I tagli che Tremonti ha imposto alla Gelmini produrranno la deflagrazione del sistema. Il prossimo anno 37 atenei non riusciranno a chiudere il bilancio.
L'opposizione alla riforma cresce ma è ancora frammentata. La Crui ha una posizione debole in attesa di segnali dal governo. Non c'è il rischio che in autunno la mobilitazione resti isolata?
È un rischio evidente. Il nostro problema non è solo quello di costruire un movimento in autunno, ma di evitare la sua corporativizzazione. Per questo abbiamo bisogno di una seria interlocuzione con la politica che è mancata due anni fa durante il movimento dell'Onda. L'autonomia dei movimenti è importante, ma non basta se non coinvolge la società.
Cosa proponete di fare quando il Ddl arriverà alla Camera e incrocerà la nuova finanziaria?
Non possiamo più giocare di rimessa, dobbiamo proporre un'alternativa radicale. Per farlo c'è bisogno di unificare le lotte dei ricercatori con quelle degli studenti, degli enti di ricerca, dei precari e dei genitori nella scuola in un percorso collettivo.
Stiamo lavorando per convocare gli stati generali della conoscenza a Roma per fine ottobre. Il nostro obiettivo è creare un'alleanza sociale in cui il sindacato sia una parte importante, ma solo una parte.
Questa agenda l'avete proposta l'anno scorso quando avete convocato un'assemblea con i ricercatori precari alla Sapienza, ma non sembra avere avuto molto seguito nella Cgil...
Se non sostiene un altro modello di welfare, di sviluppo e di lavoro, il sindacato rischia di condannarsi all'inifluenza. Non abbiamo alternative.
Nella società esiste un largo consenso sul fatto che i saperi e la conoscenza siano l'unico strumento per uscire dalla crisi. In più costituiscono un fattore per sradicare l'antropologia del berlusconismo. La lotta contro la precarietà, per il reddito, per un nuovo welfare e i beni comuni sono il fondamento di un nuovo progetto sociale.
La grande maggioranza dei lavoratori della conoscenza sono intermittenti, lavorano a progetto o in autonomia, pochi saranno stabilizzati, gli altri no. Per difendere queste persone non c'è bisogno di un salto culturale anche da parte del sindacato?
Dobbiamo impegnarci su entrambi i fronti. Al lavoro cognitivo però devono essere riconosciute le garanzie contro tutte le forme di precarietà, ma anche la dignità sociale. Per farlo è necessario creare un sistema del welfare universale e non solo lavoristico che garantisca a tutti un sostegno indipendentemente dal lavoro svolto, ma che serva ugualmente ad accompagnare verso un lavoro. Solo così questo paese riuscirà a dare una risposta alla disperazione esistenziale delle nuove generazioni.

sabato 17 luglio 2010

Aspettando la rivolta dei ragazzi di Curzio Maltese

Aspettando la rivolta dei ragazzi....MA DOVE?!?!!?POPOLO DI PECORE
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di Curzio Maltese (giornalista de "La Repubblica")

Ma perché questi ragazzi non si ribellano? A chi serve andare avanti così? Essere giovani in Italia significa ormai rinunciare alla dignità del vivere. Il lavoro, quando c'è, fa schifo, è precario e sottopagato. Ma sempre più spesso non c'è. Gli hanno raccontato che con la flessibilità non vi sarebbe stata disoccupazione e se la sono bevuta, incredibilmente, hanno condiviso il finto liberismo dei padroni e sono diventati schiavi. Il risultato è che un giovane su tre è disoccupato. Comunque anche i fortunati, si fa per dire, con lo stipendio non riescono a mantenersi e devono pescare dalla borsetta di mammà, come cantava Carosone. Ora si berranno forse la favola che la colpa di tutto è dei lavoratori più anziani, dei loro diritti acquisiti. Ma quei diritti le generazioni precedenti se li sono conquistati al prezzo di lotte durissime, mica abboccando alle balle dei presidenti di Confindustria o dei miliardari prestati alla politica.

Da giovane detestavo chi parlava di «giovani», senza distinguere, perché i «giovani» naturalmente non esistono come categoria. Eppure quanto avviene da noi nel rapporto fra generazioni merita attenzione, perché non accade altrove. Non esiste un Paese europeo dove il governo possa tagliare fondi all'istruzione senza provocare rivolte di piazza. I giovani europei sanno benissimo che l'unica speranza di avere un futuro nel mondo globalizzato consiste nel ricevere una buona formazione in scuole e università di eccellenza. Ora da noi le scuole pubbliche non hanno i soldi per la carta nei cessi e le università se la battono nelle classifiche internazionali con l'Africa. Ebbene il governo demolisce quel poco che rimane e gli studenti stanno zitti e buoni. Ad aspettare che cosa? Un lavoretto per l'estate e un altro per l'autunno? A prendersela con gli immigrati? In Italia non esiste sostegno ai giovani disoccupati, non esiste una politica della casa per le nuove coppie. Tutto è delegato a mammà e papà. Vista bene? Si fa davvero fatica a capirvi. Certo, tutta quella televisione assunta fin dalla prima infanzia deve aver fatto parecchio male.

Ma, insomma, ragazzi svegliatevi, non fidatevi di delegare a qualche furbastro la protesta, scendete in piazza, fate qualcosa, arrangiatevi. Oppure smettetela di arrangiarvi. Che cosa avete da perdere?

Firmate se condividete....

Car* tutt*,
di sotto il testo dell'appello NON C'E` POSTO PER TE, indirizzato a
ricercatori, professori, personale TA, studenti che hanno a cuore
l'Università e il suo, nostro, futuro.
Chi volesse firmarlo può collegarsi al sito:
http://www.petitiononline.com/univit15/petition.html

NON C'E` POSTO PER TE
To: Ricercatori, professori, personale TA, studenti dell'università italiana

Appello a ricercatori, professori, personale TA, studenti che hanno a
cuore l'Università e il suo, nostro, futuro.


In data 8 luglio 2010 la CRUI (che, lo ricordiamo, altro non dovrebbe
essere che una libera associazione privata, priva di qualsiasi ruolo o
funzione istituzionali) ha votato all'unanimità una mozione
(http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1916) in cui, intervenendo sul
DDL 1905 in imminente discussione parlamentare, delinea le sue
proposte in materia di riforma dell'ordinamento e del reclutamento
universitari.

Come precari della ricerca, interessati al futuro dell'università e
non solo alle nostre prospettive lavorative, intendiamo rendere
pubblici la nostra interpretazione e il nostro giudizio sulla mozione,
non dimentichi della straordinaria protesta che i ricercatori stanno
portando avanti da mesi per una riforma seria e lungimirante
dell'università.

Ci preme infatti denunciare come la mozione pretenda di favorire
promozioni interne a totale scapito del reclutamento. Se tali proposte
venissero accolte, gli effetti sul futuro nemmeno tanto lontano
dell'università sarebbero certamente nefasti: invecchiamento del corpo
docente, perdita di competitività della ricerca (basata, lo
ricordiamo, anche sul lavoro di molti precari), fuga di cervelli e
quindi di finanziamenti, in parole povere la notte dell'università
italiana.

In dettaglio, vista la dichiarata scarsità di fondi ordinari attuale e
futura, ci pare che i punti salienti (aumento delle quote per
promozioni interne, 2000 passaggi RU->PA all'anno e chiamate a
professore aggregato) avrebbero questi effetti:

1) L'azzeramento della prospettiva di reclutamento di nuove leve per i
prossimi 10 anni, che avrebbe pesantissime conseguenze per i giovani
ma anche per le migliaia di precari meritevoli che hanno pagato e
continuano a pagare una gestione dell'università unicamente rivolta ad
abbassare il costo del lavoro di chi è in posizione più debole
(precari della ricerca, TA, ricercatori). Inoltre, indipendentemente
dall'aspetto sociale, vogliamo notare che il taglio di una componente
vitale e creativa del personale didattico e di ricerca non può che
arrecare un danno anche all'università stessa.

2) Allo stesso tempo, le proposte di progressione preferenziale, che
nei fatti si configurano come una vera ope legis, interesserebbero
soprattutto i ricercatori più anziani per i quali il costo di una
promozione è nullo o limitato. Ancora una volta con grave danno per i
ricercatori più giovani e in maniera del tutto indipendente dal
merito. Ed è chiaro che una mortificazione del merito anche tra i
ricercatori finirebbe per tradursi in un ulteriore colpo al sistema
universitario.

3) In questo quadro, anche le garanzie richieste per i contratti di
tenure track (che nel DDL attuale andrebbe più propriamente chiamata
tenure trash) appaiono del tutto demagogiche, dal momento che i pochi
fondi per bandire tali posizioni saranno largamente fagocitati dalle
progressioni di cui sopra.

Lascia allibiti lo smaccato tentativo di barattare il futuro
dell'università per un "piatto di lenticchie" da offrire ai
ricercatori, nella speranza che questo sia sufficiente a far partire
il prossimo anno accademico; piatto di lenticchie, tra l'altro,
probabilmente virtuale in quanto è del tutto dubbio che i posti
promessi arriveranno realmente anche in caso di approvazione della
richiesta. Ricordiamo, a chi la avesse dimenticata, la tragicomica
vicenda del reclutamento Mussi, che ha di fatto sostituito il
reclutamento ordinario ed è stato affossato dai tagli e dai ritardi
governativi.

Ovviamente, se da una parte è giusto che l'università recluti e paghi
i docenti di cui ha bisogno, ci rifiutiamo di assistere passivi allo
spettacolo di un'Italia miope, capace solo di pensare riforme a totale
carico delle generazioni future.

Per i motivi fin qui esposti

- stigmatizziamo l'iniziativa della CRUI come tendenziosa e incurante
del futuro dell'università, iniziativa NON DEGNA di una categoria,
quella dei rettori, che dovrebbe lavorare per l'interesse del nostro
sistema accademico; piuttosto che lasciarsi sedurre dalla prospettiva
degli smisurati poteri, al di fuori di ogni controllo terzo, che
sarebbero loro concessi, essi farebbero bene ad interrompere la
monotona litania di appelli per l'approvazione del ddl Gelmini e
seguire l'esempio dei loro ben più coraggiosi predecessori che appena
pochi anni fa minacciarono di dimettersi in blocco per tagli e
provvedimenti che appaiono una miserevole quisquilia rispetto a ciò
che il governo ha fatto e intende ancora fare;

- ci auguriamo che le componenti accademiche non si prestino a questo
patetico gioco volto solo a sedare la protesta dei RTI, introducendo
una corsia preferenziale e rendendosi così carnefici al tempo stesso
dell'università e di due generazioni di ricercatori;

- ribadiamo la nostra SOLIDARIETA` ALLA PROTESTA dei ricercatori,
riconoscendoci nei punti avanzati nel documento del 29 Aprile;

e aggiungiamo:

- che la drammatica situazione dei precari della ricerca e delle
attività di ricerca nelle università richiede una soluzione
individuabile solo in un RECLUTAMENTO STRAORDINARIO DI EMERGENZA, IN
TERMINI DI CONCORSI, da finanziare adeguatamente;

- che questo può e deve avvenire nel contesto del ruolo unico in tre
livelli proposto dalla rete 29 Aprile, in modo da non mettere in
conflitto le diverse componenti del mondo della ricerca;

- che le risorse potrebbero e dovrebbero essere trovate mediante la
riduzione a 65 ANNI dell'età pensionabile di tutti i docenti
universitari con riutilizzo, senza alcun vincolo sul turnover, del
budget reso disponibile per il reclutamento di nuovo personale;

- che è necessario adeguare le condizioni di lavoro dei precari
dell'università a standard civili, come prescritto dalla Carta Europea
dei Ricercatori, iniziando per esempio dal riconoscimento di un
trattamento previdenziale e retributivo equiparato ai lavoratori
strutturati.

Manifestiamo infine la nostra disponibilità ad un'assemblea di tutte
le componenti coinvolte nella protesta, da tenersi dopo l'estate, con
particolare riguardo a:

1) azioni per scongiurare la sostituzione dei ricercatori
indisponibili da parte di precari ed esterni;

2) azioni di sensibilizzazione e coinvolgimento verso gli studenti in
vista dei disagi che dovranno sopportare. Il presente documento è
rivolto a tutte quelle componenti del mondo universitario e della
società consapevoli dei reali bisogni dell'università, e delle
conseguenze nefaste di proposte quali quella della CRUI.



Invitiamo tutte le realtà di precari costituitesi spontaneamente nelle
varie sedi locali a trovare luoghi comuni di discussione e, a questo
fine, mettiamo a disposizione di tutti la mailing list
"ricercatoriprecari-dibattito+subscribe@googlegroups.com".

Infine annunciamo un preliminare incontro nazionale, che intendiamo
tenere nei prossimi giorni, al fine di promuovere un coordinamento
dell'azione dei precari dell'università e programmare iniziative di
protesta e mobilitazione in vista dei mesi autunnali. Al fianco dei
ricercatori e degli studenti.

Berlusconi e CEPU

da www.campus.it 16.7.2010
Il premier, Silvio Berlusconi, e i problemi dell’università
di Giampaolo Cerri

La mail è arrivata in queste ore agli oltre tremila iscritti dell’ateneo telematico eCampus e porta la firma del “rettore”, Lanfranco Rosati: lunedì 19 luglio mattina, il premier Silvio Berlusconi visiterà privatamente il campus di Novedrate “e parlerà con studenti e docenti”.

Un evento, scrive Rosati a ogni studente telematico, “che arricchirà la tua esperienza formativa”. Gli iscritti, cui è richiesta una conferma via mail o telefonica, sono invitati a indossare “l’abbigliamento formale”.

Dunque Berlusconi, seppur privatamente, visita l’università del fondatore di Cepu, Francesco Polidori. Fatto rilevante, perché arriva contemporaneamente alla prime proteste contro i tagli e contro la riforma Gelmini.

Una visita davvero poco opportuna, per diversi motivi, che forse lo stesso premier non conosce. Proviamo a ricordarli.

1) E’ di poche settimane fa, una severa mozione del Cun che segnala al ministro Gelmini molte incongruenze sul funzionamento delle università telematiche in Italia;

2) eCampus è per l’appunto l’unica telematica italiana attivata con il parere contrario del Consiglio universitario nazionale-Cun e del Comitato nazionale della valutazione sull’università-Cnsvu;

3) entro l’anno – anche se non è stata ancora calendarizzata- è prevista la visita degli esperti Cnsvu a Novedrate, sede di eCampus, per verificare proprio la rispondenza dell’offerta didittica di quell’ateneo agli standard di legge;

4) eCampus, come ha mostrato una lunga e articolata inchiesta di Campus (e scusateci il gioco di parole), è sostanzialmente parte integrante del Gruppo Cepu, leader dell’assistenza universitaria, il cui intricatissimo assetto societario è oggi riconducibile a una fiduciaria lussemburghese, JMD International Sa, di cui non è chiara la proprietà;

5) nelle agenzie Cepu, dove si propone l’iscrizione ai corsi di laurea eCampus, che rilasciano titoli con valore legale, si offrono anche lauree della Libera università di Herisau, più volte inserita nella lista nera dei titoli falsi dal ministero dell’Università.

Senza contare che questa vicenda rischia fortemente di imbarazzare Mariastella Gelmini: la visita del premier all’ateneo del Cepu, quando la sua la sua tribolata riforma dell’università arriva al Senato per un passaggio piuttosto delicato, rischia davvero di scaldare gli animi, oltre quello che sono già.

ricevimento 20 luglio 2010

La dott. Mancini riceverà gli studenti il 20 luglio alle 16 nel suo studio.

lunedì 12 luglio 2010

appello 13 luglio 2010

L’appello di Letteratura inglese I e II (dott. Mancini) del 13 luglio 2010 si terrà alle 15 nell’aula IANA.

domenica 11 luglio 2010

Vi interessa?

PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA E LETTERATURA “NUOVE LETTERE”

Istituto Italiano di Cultura di Napoli



XXV edizione (2010)



Il Premio si articola in quindici sezioni:

I. Poesia singola inedita;

II. Poesia edita in rivista;

III. Raccolta edita di poesia;

IV. Raccolta edita di poesia ‘opera prima’;

V. Raccolta inedita di poesia;

VI. Racconto inedito;

VII. Racconto edito in rivista;

VIII. Raccolta inedita di racconti;

IX. Raccolta edita di racconti.

X. Romanzo edito;

XI. Romanzo inedito;

XII. Articolo edito;

XIII. Articolo inedito;

XIV. Saggio edito;

XV. Saggio inedito.

Si partecipa inviando, entro e non oltre il 31 luglio 2010, tre copie dei testi proposti (che possono essere uno o più), completi di firma, recapito e numero di telefono, al seguente indirizzo:

Istituto Italiano di Cultura di Napoli

Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”

via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”)

80131 Napoli (Italia)

Per le Sezioni II, VII, X e XII la Giuria è composta da tutti i lettori di “Nuove Lettere”, che sono invitati ad esprimere alla Redazione, entro e non oltre il 31 luglio 2010, la loro preferenza relativa, rispettivamente, ad una poesia, ad un racconto e ad un romanzo in lingua italiana apparsi in una rivista italiana o straniera o editi nel corso del 2008 e 2009.

La Giuria è composta dai redattori di “Nuove Lettere”: Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi (Presidente), Mario Susko, Násos Vaghenás, Nguyen Van Hoan.

La poesia vincitrice della I sezione verrà pubblicata in “Nuove Lettere” e l’autore potrà proporre per la pubblicazione una sua raccolta di versi nella collana di poesia dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Tutte le opere inedite vincitrici potranno essere pubblicate nelle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI Edizioni). Gli autori vincitori con un’opera edita o con un testo inedito ma non sufficiente per dimensione a costituire un libro potranno proporre un’opera inedita per la pubblicazione nelle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI Edizioni). Tutti i testi vincitori saranno pubblicati in “Nuove Lettere Elettroniche” (NLE). Tutte le opere vincitrici avranno diritto a fregiarsi della fascetta Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”.

L’esito finale del Premio, il luogo e la data della premiazione verranno comunicati nel prossimo numero di “Nuove Lettere”.





Comunicati stampaIstituto Italiano di Cultura di Napoli
I C I

via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”); 80131 Napoli (Italia) -
tel. 081 / 546 16 62 - fax 081 / 220 30 22 - tel. mobile 339 / 285 82 43 -
URL www.istitalianodicultura.org - posta elettronica ici@istitalianodicultura.org

L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI) esiste dal gennaio del ‘90 ed è attualmente diretto da Roberto Pasanisi. Sin dall’inizio, in tempi non ancóra sospetti, l’Istituto ha concepito la cultura nel suo senso più ampio, vivificata cioè da profonde implicazioni civili e sociali: ha denunciato, nell’àmbito del programma del suo anno accademico ed attraverso la sua rivista “Nuove Lettere”, la corruzione e l’inefficienza del sistema, il malaffare e la collusione fra politici, mafiosi e camorristi, la gestione clientelare del potere; rimarcando, nel contempo, la necessità imprescindibile d’un ritorno alla legalità e ad una vita politica e sociale fondata sui sacri valori dell’etica, della cultura e della giustizia. In effetti, una delle cause di quello che è successo e sta succedendo risiede certo nell’abisso che si è progressivamente scavato fra cultura (intesa nella sua accezione più ampia, e quindi anche etica) e politica: così la politica è divenuta una pura tecnica, e di lì il passo a farne il più bieco degli affari non poteva essere che breve. La battaglia per la politica del futuro si giocherà — dovrà giocarsi — sulla cultura. L’Istituto, nel corso della sua attività, ha assunto sempre di più, accanto a quella primaria (letteraria e culturale), una funzione civile, di luogo di dibattito e di aggregazione di quella che oggi viene chiamata la ‘società civile’; di laboratorio politico, nel senso etimologico del termine (idest come ‘scienza del cittadino’), ma sempre super partes (anzi: contra partes). In effetti, l’Istituto opera, diversamente da altre pur prestigiose strutture cittadine, non dall’alto, ma in diretto contatto con la città, con la gente, cercando di dare una risposta, dal punto di vista culturale, alle loro esigenze ed al loro bisogno di punti di riferimento civili e sociali. A tale scopo, esso si pone da un punto di vista di reciproca e proficua collaborazione con le altre associazioni ed enti culturali e sociali. L’Istituto, improntato ai criterî di un’autentica ed incondizionata democrazia e vicino, sul piano ideologico, alla Scuola filosofica di Francoforte (Adorno, Marcuse, Löwenthal, Fromm, Horkheimer), è caratterizzato dalla più grande ed indiscriminata apertura, al di là e al di fuori di ogni barriera ideologica, tranne due: quelle dell’onestà — intellettuale e morale — e della buona volontà.

L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI) pubblica la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere”, la sua versione telematica “Nuove Lettere Elettroniche” (NLE) e, nell’àmbito delle ICI Edizioni, cinque collane editoriali (di poesia, di narrativa e di saggistica); organizza il Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere” ed un Corso di Scrittura Creativa, in sede (CSC) ed A Distanza (LESC). Comprende tre settori: il CISAT (Centro Italiano Studî Arte-Terapia), che svolge attività di psicoterapia, di ricerca e di Formazione nel campo dell’Arte-Terapia e della psicologia in genere, anche A Distanza (FAD), ed organizza annualmente un Convegno interdisciplinare; il Libero Istituto Universitario Per Stranieri “Francesco De Sanctis” (LIUPS), con Corsi anche A Distanza (LIUPS-AD); e la Scuola di Politica “Guido Dorso”, che pubblica la rivista telematica “Politiké”. L’ICI, talvolta in collaborazione con altri enti culturali, organizza per tutto il corso dell’anno, nell’àmbito del proprio anno accademico, una continuativa ed altamente qualitativa attività culturale, esplicantesi in una serie di convegni, conferenze, incontri, lezioni, presentazioni e tavole rotonde, su tematiche culturali e politologiche.

Il Comitato scientifico dell’Istituto è composto da: Constantin Frosin (docente di Lingua e Letteratura francese all’ Università “Danubius” di Galati; scrittore), Antonio Illiano (docente di Lingua e Letteratura italiana alla University of North Carolina at Chapel Hill), Roberto Pasanisi (docente di Lingua e Letteratura italiana all’Università Cattolica di Lovanio ed all’Università di Anversa; direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli e di “Nuove Lettere”; scrittore), Vittorio Pellegrino (già presidente dell’Ente Provinciale per il Turismo di Napoli; neuropsichiatra, già Direttore del Servizio d’Igiene Mentale e docente all’Università di Napoli “Federico II”), Mario Susko (già ordinario all’Università di Sarajevo; docente di Letteratura americana alla State University of New York, Nassau; scrittore), Násos Vaghenás (docente di Teoria e critica letteraria all’Università di Atene; scrittore) e Nguyen Van Hoan (docente di Letteratura italiana e di Letteratura vietnamita all’Università di Hanoi). Ne hanno fatto parte dall’inizio fino alla prematura scomparsa gli scrittori Dario Bellezza, Franco Fortini (già ordinario di Storia della critica all’Università di Siena) e Giorgio Saviane.



I cittadini onesti e di buona volontà sono invitati a mettersi in contatto con l’Istituto.





Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli ICI Edizioni





“Nuove Lettere”

rivista internazionale di poesia e letteratura





L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere”, pubblica cinque collane editoriali: due di poesia (entrambe dirette da Roberto Pasanisi: una intitolata Lo specchio oscuro, l’altra — di plaquette — intitolata Nugae), due di narrativa (una già diretta da Giorgio Saviane e intitolata La bellezza; l’altra — di plaquette — diretta da Roberto Pasanisi e intitolata Gli angeli) ed una di saggistica letteraria (già diretta da Franco Fortini ed intitolata Lettere Italiane).



I testi, in qualunque lingua, proposti per la pubblicazione dovranno essere inviati, chiaramente dattiloscritti, in due copie ed accompagnàti da una dettagliata nota bio-bibliografica sull’autore (completa di luogo, giorno, mese e anno di nascita), al seguente indirizzo: Istituto Italiano di Cultura; via Bernardo Cavallino, 89; 80131 Napoli (Italia).



Essi saranno vagliati da un Comitato di lettura costituito dai Redattori di “Nuove Lettere”: Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi, Mario Susko, Násos Vaghenás e Nguyen Van Hoan.



Le Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura si impegnano a fornire una risposta agli autori in tempi brevi. La pubblicazione in volume del testo proposto, in caso di parere favorevole del Comitato di lettura, sarà a spese dell’Istituto, che si impegna altresì a sostenere l’opera con un’adeguata campagna pubblicitaria, a curarne la diffusione per posta fra gli ‘addetti ai lavori’ (critici, giornalisti, scrittori, ecc.) e fra i suoi soci (2.100 in tutto il mondo, fra cui molti artisti e letterati famosi), che lo riceveranno automaticamente in quanto compreso nella ‘quota associativa’; nonché a proporlo per una recensione alle principali riviste del settore. S’intende che uno dei canali a disposizione dell’Istituto sarà costituito da “Nuove Lettere”.



Il volume sarà edito in elegante veste editoriale e tirato in 3.000 copie.



L’autore potrà, a scelta, far precedere il suo testo da una Prefazione da lui stesso proposta o richiederne una all’Istituto, che provvederà ad affidarla ad uno dei componenti del Comitato di lettura.



Per ulteriori informazioni è possibile telefonare al numero 081 / 546 16 62 od inviare un fax al numero 081 / 220 30 22; oppure telefonare al numero 339 / 285 82 43 od inviare un messaggio elettronico a iciedizioni@istitalianodicultura.org.



Istituto Italiano di Cultura di Napoli
I C I



via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”); 80131 Napoli (Italia) -
tel. 081 / 546 16 62 - fax 081 / 220 30 22 - tel. mobile 339 / 285 82 43 -
URL www.istitalianodicultura.org - posta elettronica lesc@istitalianodicultura.org

CSC - Corso di formazione in Scrittura Creativa





LESC - Laboratorio Elettronico di Scrittura Creativa



Il Corso di formazione in Scrittura Creativa (CSC) ed il Laboratorio Elettronico di Scrittura Creativa (LESC) dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli si svolgono per la durata di un anno accademico, il primo in sede, il secondo A Distanza (on line).


Alla fine dell’anno di Corso viene rilasciato un Diploma di Scrittura Creativa, dopo il superamento di un Esame finale, a tre livelli: di Base: DSC1; Intermedio: DSC2; Avanzato: DSC3.



Il programma è articolato in 8 moduli autonomi: Teoria e prassi della Scrittura creativa; La narrativa; La poesia; La Scrittura scientifica; La Scrittura giornalistica; Il lavoro redazionale; Il lavoro editoriale; La lettura.



I docenti sono professori universitarii di letteratura, psicologi, scrittori e giornalisti.



Comitato scientifico: Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi, Mario Susko, Násos Vaghenás e Nguyen Van Hoan.









C . I . S . A . T
CENTRO ITALIANO STUDÎ ARTE-TERAPIA

membro del WCP (The World Council for Psychotherapy,Vienna)







via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”); 80131 Napoli (Italia) -
tel. 081 / 546 16 62 - fax 081 / 220 30 22 - tel. mobile 339 / 285 82 43 -
posta elettronica cisat@centrostudiarteterapia.org - URL www.centrostudiarteterapia.org


Scuola quadriennale di specializzazione e formazione in Arte-Terapia (ART) e Training autogeno (TA) (anche A Distanza, On Line: FAD)




Comitato scientifico



prof.ssa Margherita Lizzini (Presidente onorario - psicoterapeuta ad indirizzo analitico - già Presidente dell’A.R.P.A.D.)

prof. Roberto Pasanisi (Direttore – psicologo - arteterapeuta didatta)

prof. Constantin Frosin (professore di Lingua e Letteratura Francese all’Università “Danubius" di Galati, Romania)

prof. Antonio Illiano (professor emeritus di Lingua e Letteratura italiana alla University of North Carolina at Chapel Hill, U.S.A.)

dott. Pasquale Montalto (psicologo - psicoterapeuta ad indirizzo analitico esistenziale)

dott. Rossano Onano (psichiatra)

dott. Vincenzo Paolillo (psicologo – psicoterapeuta; Direttore, Elform, E-learning e Formazione, Roma)

dott. Francesco Paolo Palaia (ASL 8, Vibo Valentia; membro associato, CISAT, Centro Italiano Studii Arte-Terapia)

prof. Vittorio Pellegrino (neuropsichiatra - già Primario del Dipartimento di Salute mentale del Distretto 51 - già docente all’Università di Napoli “Federico II”)

prof. Robin Philipp (psichiatra - Consultant Occupational and Public Health Physician and Director, Centre for Health in Employment and the Environment Department of Occupational Medicine, Bristol Royal Infirmary, Bristol, Gran Bretagna)

dott.ssa Maria Rosaria Riccio (psicologa - psicoterapeuta ad indirizzo gestaltista)

prof. Guy Roux (neuropsichiatra - arteterapeuta - Presidente della SIPE [Société Internationale d’Art-Thérapie] - già docente alla Université Paris V, France)

prof. Jean-Luc Sudres (Maître de Conférences in Psicologia, psicopatologo, Segretario Generale della Société Internationale de Psychopathologie de l'Expression et d'Art-thérapie [SIPE], UFR di Psicologia, Università di Tolosa "le Mirail", Francia)

prof. Mario Susko (già ordinario all’Università di Sarajevo; professore di Letteratura americana alla State University of New York, Nassau, U.S.A.)

prof. Násos Vaghenás (ordinario di Teoria e critica letteraria all’Università di Atene, Grecia)

prof. Nguyen Van Hoan (ordinario di Letteratura italiana e di Letteratura vietnamita all’Università di Hanoi, Vietnam)

prof.ssa Diane Waller (arteterapeuta - professore ordinario al Goldsmith College, Londra, Gran Bretagna)