domenica 25 luglio 2010

L’Università pubblica rischia di morire

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L'appello

L’Università pubblica rischia di morire

Un appello della Facoltà di Scienze MFN dell’Università di Torino


Siamo docenti e ricercatori della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università di Torino e lavoriamo a tempo pieno nella ricerca e nella formazione. Con questo appello vogliamo fare conoscere ai cittadini, ai nostri studenti e alle loro famiglie la nostra posizione.

Noi che operiamo nell’Università pubblica viviamo infatti in una morsa di crescente inquietudine per il susseguirsi di provvedimenti volti a ridimensionare il sistema dell’alta formazione e della ricerca. Una forte riduzione delle risorse è già in atto dal 2008 (L133/08, L01/09), e la recente manovra correttiva (Tremonti) è solo l’ultimo episodio di una serie

1. Sì al cambiamento vero dell'Università

Siamo convinti che l’Università italiana, come molti comparti del settore pubblico, abbia bisogno di profondi cambiamenti e non intendiamo difendere lo status quo. Per migliorare il sistema universitario è necessario premiare il merito e la qualità, valutando in modo rigoroso, trasparente ed indipendente il lavoro di ciascuno, come avviene nei paesi più avanzati.

Non è questa la direzione intrapresa negli ultimi anni: si parla molto di merito ma non se ne tiene conto e si dispongono tagli durissimi per tutti.

2. Sì a un futuro di sviluppo per l'Italia e il Piemonte

L’Università è il luogo dove si crea e si trasmette la conoscenza che è necessaria per lo sviluppo. Anche nella nostra Regione, l'Università pubblica promuove la mobilità sociale, forma la stragrande maggioranza dei quadri dirigenti della società ed è fonte di innovazione e sviluppo.

Nessuno ignora la gravità della crisi economica attuale e la necessità di fare scelte rigorose, ma le risorse investite in formazione e ricerca non sono un lusso od uno spreco, bensì una risorsa preziosa da utilizzare con attenzione e rigore per preparare il domani. Sono i nostri ed i vostri soldi investiti per un migliore futuro sociale ed economico di questo Paese e della nostra Regione.

I paesi più avanzati al mondo investono più degli altri in ricerca e sviluppo. La risposta alla crisi dei maggiori paesi europei è stata l'aumento delle risorse per università e ricerca. Così hanno fatto la Francia, la Germania e la Svizzera. L’Italia investe solo lo 0,8% del suo PIL in formazione avanzata e ricerca, lontana dell'Europa che investe in media il 45% in più (dati Eurostat).

In Italia abbiamo un rapporto di 20 studenti per docente, contro una media OCSE di 15. Il numero di docenti universitari dovrebbe quindi crescere per poter competere con i paesi più avanzati. Al contrario, la Legge 1 del 2009 permette di sostituire al massimo il 50% del personale docente che va in pensione. L'attuale DL di stabilizzazione finanziaria potrebbe addirittura bloccare il turnover nei prossimi anni, portando il rapporto a oltre 50 studenti per docente. Stiamo infatti per assistere, per ragioni anagrafiche, ad una massiccia uscita dai ruoli universitari. In Italia ci sono oggi circa 62000 docenti e ricercatori: più di 8000 andranno in pensione entro il 2013, altri 15000 entro il 2020 (dati MIUR). Un rinnovamento è necessario se si vuole mantenere in vita l’Università pubblica. I ricercatori che oggi legittimamente protestano sono la base in cui individuare e scegliere i professori del futuro: la loro penalizzazione oggi è un pessimo investimento per il domani.

3. No al precariato senza futuro

Le risorse umane per il futuro della ricerca italiana non mancherebbero né tra i ricercatori universitari di oggi né tra i giovani che si avvicinano alla ricerca. Il disegno di legge 1905 attualmente in discussione (DDL Gelmini) prevede l'abbandono dei ricercatori su un binario morto e la sostituzione del loro ruolo con ricercatori a tempo determinato. Questo umilia e demotiva una classe di giovani studiosi, parecchi dei quali hanno già oggi competenze e titoli scientifici più che adeguati ai livelli superiori di docenza. Il ruolo del ricercatore a tempo determinato, così come proposto, istituisce di fatto un lungo periodo di precariato senza certezze sulla possibilità di concorrere in Italia ad una posizione permanente, a prescindere da qualunque questione di merito.

I giovani laureati che in Italia si avvicinano alla ricerca, tra mille difficoltà e nella quasi totale assenza di prospettive, sono invece apprezzati nelle istituzioni di ricerca all’estero, dove col tempo arrivano anche ad occupare posizioni di grande prestigio. Dunque il sistema formativo in cui sono cresciuti è ancora valido. Nelle condizioni che si stanno delineando, altri giovani ricercatori formati a spese del nostro Paese saranno costretti a fuggire, attratti dai Paesi dove la cultura e la ricerca sono un valore. Finiremo così per regalarli a Paesi più lungimiranti.

Un Paese che tollera l’evasione fiscale più grande e ostentata d’Europa, ma che taglia ogni giorno le risorse necessarie per sostenere l'attività dei suoi talenti migliori, è un Paese senza futuro.

4. No agli sprechi ma anche no ai tagli generalizzati

La durissima politica di tagli rende difficile confrontarsi sui contenuti del DDL Gelmini, che ripete quasi ad ogni articolo e comma che ogni azione deve essere portata avanti a costo zero. Con questa premessa, anche le proposte potenzialmente positive, come l’introduzione di un meccanismo di valutazione della ricerca e il reclutamento sulla base di concorsi nazionali, perdono ogni credibilità. In nessun settore si possono fare riforme serie a costo zero!

La manovra di stabilizzazione finanziaria di questi giorni colpisce anche le retribuzioni di tutti noi, in modo particolarmente inaccettabile per le fasce più giovani. Introduce inoltre nuovi e pesantissimi tagli ai fondi per ricerca e didattica, che si aggiungono a una lunga serie di tagli progressivi preesistenti. A dispetto delle dichiarate intenzioni meritocratiche del governo, i tagli sono indiscriminati: Atenei virtuosi, Atenei spendaccioni e alcune realtà universitarie di dubbia qualità sono messi sullo stesso piano.

Per dare un’idea di quanto il DL penalizzi le università virtuose, diamo alcune dati relativi al nostro Ateneo. Il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che lo Stato annualmente assegna alle università e su cui grava completamente il pagamento degli stipendi, nel 2009 è ammontato a 263 milioni di euro. L’Ateneo di Torino, con un bilancio complessivo superiore a 890 milioni grazie a ulteriori finanziamenti derivanti da progetti e convenzioni, ha però restituito allo Stato ed agli Enti locali circa 240 milioni di euro in imposte di vario tipo. Questo dimostra che un'Università pubblica vitale è per lo Stato una spesa più che sostenibile. Nonostante ciò, l'FFO per il nostro Ateneo sarà ridotto il prossimo anno di altri 25 milioni di euro, riducendo la qualità della nostra didattica e le nostre capacità di attrarre risorse esterne.

5. L’Università è di tutti, anche tua!

Lo studio, la formazione e la ricerca sono motori di progresso civile ed economico. Siamo convinti che la libertà di ricerca vada assolutamente preservata, non solo per una nostra convinzione ideologica, ma perché essa sola garantisce (lo ha fatto negli ultimi secoli) il progredire della conoscenza, dello sviluppo scientifico e tecnologico, aprendo nuovi orizzonti per la vita di tutti.

Per difendere il futuro dell'Università pubblica in Italia, docenti e ricercatori stanno oggi protestando in molti Atenei. A seguito di questa protesta, l'avvio del prossimo anno accademico rischia di essere difficile, con un'offerta didattica incompleta e non all'altezza della nostra tradizione.

Aiutateci, con la vostra solidarietà, a difendere un patrimonio comune riconosciuto dalla Costituzione

Il costo di questo appello viene sostenuto con il contributo volontario di un gruppo di docenti e ricercatori.