lunedì 6 dicembre 2010

Alcune “leggende metropolitane” sull’università italiana


Alcune “leggende metropolitane” sull’università italiana



In questi anni sono circolate svariate informazioni inesatte (e talvolta false) sulla riforma universitaria, sulla protesta, ed in generale sull’università italiana. Per correggere i difetti del sistema (difetti che ci sono, beninteso) bisogna prima di tutto capirlo: è quindi essenziale sgombrare il campo da informazioni fuorvianti.
Un problema bene impostato è già per metà risolto.
Selezioniamo qualche elemento di questo ricco bestiario …

1. La riforma è avversata dai baroni
Falso. La riforma consegna l’università nelle mani dei professori ordinari, ed infatti è caldeggiata dagli stessi Rettori. I ricercatori invece verrebbero marginalizzati, messi ad esaurimento e, per effetto dei tagli del FFO e del blocco del turn-over, avrebbero scarse possibilità di progressione di carriera.
2. I ricercatori vogliono un’altra ope legis.
Falso: la maggior parte dei ricercatori desidera avere la possibilità di poter partecipare a concorsi puliti ed aperti a tutti. Nelle prime formulazioni della legge mancava totalmente un piano che permettesse di inquadrare – almeno in parte – i ricercatori come associati; con i successivi emendamenti, il Governo ha proposto una toppa peggiore del buco, nel tentativo di barattare il via libera alla legge in cambio di concorsi riservati, i quali però rischiavano di generare promozioni incontrollate.
3. I ricercatori pretendono di scioperare senza rinunciare allo stipendio.
Falso: I ricercatori non hanno l’obbligo di tenere corsi, attività che finora hanno svolto su base volontaria. Gli effetti combinati della riforma universitaria (marginalizzazione del ruolo del ricercatore) unitamente a quelli delle manovra finanziaria (taglio del FFO, blocco del turn-over, blocco degli scatti stipendiali) hanno fatto passare a molti ricercatori la voglia di fare volontariato.
4. Molte università hanno bilanci dissestati, e spendono più del 90% del finanziamento in stipendi.
A parte pochi casi, lo sforamento del tetto del 90% è determinato dalla costante diminuzione del finanziamento statale negli ultimi anni. Per fare dei numeri, la spesa per gli stipendi ammontava nel 2010 a 6,5 miliardi di euro mentre nel 2011, in conseguenza dei tagli, il finanziamento complessivo sarà di 5,97 miliardi di euro. Questo vuol dire che la maggior parte degli atenei non solo sforerebbe il tetto del 90%, ma verrebbero addirittura a mancare i soldi per pagare gli stipendi.
5. I professori hanno moltiplicato i corsi di laurea allo scopo di moltiplicare le cattedre; ci sono decine di corsi di laurea con un solo studente.
La leggenda dello studente unico è un paradosso dovuto al passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. I corsi con un solo studente sono solo quelli del vecchio ordinamento che, ormai disattivati, mutuano gli insegnamenti da altri corsi. Nessuno tiene aperto un corso di laurea per un solo studente per un motivo molto semplice: la legge non lo consente.
6. Gli atenei italiani hanno generato una messe di corsi di laurea assurdi che il Ministero vuole eliminare.
Per istituire un nuovo corso di laurea è (ed è sempre stata) necessaria l’autorizzazione del Ministero. Se esistono corsi assurdi, è anche responsabilità del ministero che li ha approvati.
7. Nell’università proliferano ricerche inutili ed autoreferenziali tipo “Performance atletica, stress e fatica nel Cavallo” o “Approccio multidisciplinare alla conservazione dell’Asino dell’Amiata”.
Questi sono effettivamente titoli di alcuni progetti di ricerca che la propaganda governativa ha additato come sprechi. In realtà si tratta di una mistificazione: questi progetti sono stati finanziati dal MIUR in seguito a procedura di valutazione effettuata da referee anonimi scelti da un panel di esperti di nominati dal Ministro Moratti. Quindi, anche se i titoli possono suonare stravaganti, si tratta di ricerche considerate valide da un gruppo esperti. Ma l’idea di ridicolizzare progetti di ricerca scientifici semplicemente ironizzando sui titoli non è originale: non è altro che una brutta copia di un format reso famoso da The Golden Fleece Award ideato più di 30 anni fa negli USA7, ed ancora oggi usato allo scopo di premere per una riduzione dei finanziamenti alla ricerca.
8. I piazzamenti dei nostri atenei nelle classifiche internazionali sono mediocri: la riforma Gelmini rilancerà l’università italiana.

Le classifiche sono un argomento delicato, e dipendono fortemente dai criteri usati per stilarle: per esempio secondo la classifica Academic Ranking of World Universities. 2010 stilata dall’università di Jiao Tong, tra le prime 150 top universities compaiono Milano, Pisa, Roma-La Sapienza, se ci allarghiamo alle prime 200 troviamo pure Padova; tuttavia in un’altra classifica famosa, la Times Higher Education (THE), nel 2010 non compare alcun ateneo italiano tra primi 200 posti. È invece interessante guardare l’evoluzione temporale dei piazzamenti; rimanendo ai dati di THE si scopre che i piazzamenti italiani sono i seguenti:
2007 : Bologna (173) e La Sapienza (183);
2008 : Bologna (192);
2009 : Bologna (174);
2010 : nessuna
Quindi, se dovessimo dare un giudizio sulla base di questa classifica, non sembra che la gestione dell’attuale Ministro abbia dato finora risultati molto positivi. Ma non cercate questa notizia sul Sole 24 Ore diretto da Gianni Riotta ;)
9. La riforma favorisce le giovani generazioni.Non siamo in grado di dire quali saranno gli effetti della riforma Gelmini (anche perché non è detto che vedrà mai la luce); però possiamo dire quel che è successo finora. In seguito ai tagli del governo gli atenei hanno cercato di eliminare le spese comprimibili, e chi ne ha fatto le spese sono stati coloro che non avevano un contratto a tempo indeterminato (tipicamente i più giovani). Anche il blocco degli scatti stipendiali punisce più duramente i giovani. Saranno tutte coincidenze?

Ci sono molte altre leggende in circolazione. Scovarle e’ utile, e talvolta anche divertente. Segnalate la vostra leggenda preferita aggiungendo un commento in coda a questo post!

Nota: questo articolo e’ la riedizione (con minime modifiche) di una sezione del “Kit del Giornalista” curato dal Coordinamento Ricercatori di Pisa.