domenica 16 maggio 2010

da La Gazzetta del SUD

Phillips, cavaliere della disappartenenza
Giornata indimenticabile. Tra i temi trattati la cittadinanza, l'accoglienza, l'emigrazione

Nadia Santoro*
Una vita vissuta lungo i doppi binari della lettura e della scrittura, cavalcando la tigre della disappartenenza, della dislocazione attiva, interrogandosi costantemente sull'intreccio tra appartenenza, casa, oblio: così si presenta Caryl Phillips, scrittore anglofono, nato nei Caraibi, trasferitosi in Gran Bretagna e attualmente residente a New York. Nella sua variegata produzione (romanzi, saggi, opere teatrali) Phillips ha cercato di illuminare la drammatica questione dell'identità diasporica del migrante, soggetto sospeso nell'interstizio di culture diverse, stretto tra "ansia dell'appartenenza" e esercizio di una cittadinanza plurima e conflittuale.
L'incontro con lo scrittore, voluto e presieduto da Bruna Mancini (Dipartimento di Linguistica, Unical), si situa all'interno del Progetto E_migranz@, del Dipartimento di Linguistica, in collaborazione con altri dipartimenti, teso ad esplorare temi centrali della nostra contemporaneità quali cittadinanza, accoglienza, emigrazione, intersecando varie arti e approcci disciplinari.
Occorre ridare corpo e voce, restituire singolarità ai tanti migranti che vivono nelle nostre città, è questo l'invito di Caryl Phillips ai tanti studenti accorsi. Lo ha fatto sottolineando i molteplici attraversamenti di confini individuali e comunitari e indagando ciò che sta inscritto originariamente nella propria genealogia: la diaspora nera, la deportazione dall'Africa ai Caraibi, la memoria della schiavitù. Il tema della memoria, ma anche della "amnesia strategica", è stato in effetti il filo rosso degli interventi che si sono succeduti e hanno in diversa misura dialogato con Phillips.
La narrativa sincopata di Crossing the River è stata introdotta da Oriana Palusci (Università di Napoli, l'Orientale), che ne ha ampliato la dimensione polifonica in direzione di alcune centrali narrazioni anti-schiavistiche da The History of Mary Prince: A West-Indian Slave a Uncle Tom's Cabin. Richiamandosi a The Black Atlantic di Paul Gilroy, la studiosa ha mostrato come la memoria della schiavitù, grande rimosso dei moderni stati-nazione, possa generare contro-narrazioni in grado di dissigillare i silenzi della storia ufficiale.
A partire da un saggio di Phillips dedicato al dilemma tra tralasciare/tramandare il ricordo, Manuela Coppola (Dipartimento di Linguistica, Unical) si è concentrata sull'intreccio tra la traversata del famigerato Middle Passage atlantico e quello mediterraneo. La studiosa ha collegato La porta di Lampedusa di Mimmo Paladino, il monumento dedicato ai migranti morti o disperi in mare per raggiungere l'Italia al castello di Elmina, primo insediamento portoghese eretto in Ghana e usato, successivamente da olandesi e inglesi, come centro di raccolta degli schiavi. Quest'ultimo, come ricorda Phillips, è stato trasformato in uno dei punti nevralgici del crescente "commercio turistico diasporico". Al culto del ricordo o ad un passato strategicamente purgato si può solo rispondere attraverso una presa in carico diretta del dolore inscritto nella storia personale e collettiva, facendolo agire nel presente. È al coraggio del migrante che si richiama Phillips, alla sua enorme capacità di resistenza e di adattamento creativo ad una realtà spesso ostile, cementata dai falsi miti dell'omogeneità e della purezza culturale. Irriducibili ai vari tentativi di appropriazione e riduzione a preconfezionati paradigmi di riferimento, i migranti, prosegue lo scrittore, si muovono contro il disciplinamento dei corpi, messo in atto dai vari governi liberali, e l'autorità illecita delle varie mafie che vampirizzano la "nuda vita" giunta sulle nostre coste, a Rosarno come a Castel Volturno.
L'intervento di Carlo Fanelli (Dams, Unical) è stato dedicato all'analisi di due opere teatrali che corrispondono alla prima fase della produzione drammaturgica di Phillips: Strange Fruits e Where There Is Darkness. Entrambe, in diversa misura, indagano il conflitto intergenerazionale e interculturale e la tragica consapevolezza di un impossibile "ritorno alle origini". Autenticità e purezza sono "frutti che impazziscono" (Clifford), mitologie che come ricorda Manuela Coppola, ci chiudono in uno sguardo autoreferenziale piuttosto che costringerci alla fatica dell'ascolto. L'ospitalità, come atto di responsabilità individuale e collettiva, è ciò su cui ha insistito Phillips. L'asimmetria dei rapporti tra ospitante e ospitato rimanda al rapporto di filogenetica vicinanza tra ospite/straniero, illustrato da Benveniste e ripreso da Derrida, nella sua concezione di accoglienza come un'occasione, un esercizio "per ripensare e praticare il dentro (la casa, la dimora, il presso di sé) in modi sempre diversi e locali, comunque modificati da un diverso rapporto con il fuori".
L'attrice Emilia Brandi ha chiuso gli interventi della giornata con un appassionato reading dall'ultimo romanzo di Phillips, In The Falling Snow.
Infine l'Autore ha suggerito quale potrebbe essere la base di una "comunità a venire": è la complessità delle nostre identità culturali, nello stesso tempo plurali e parziali, che dovrebbe aiutarci a superare l'attuale miseria immaginativa e la semplificazione elevata a paradigma governativo.
*Ricercatrice UniCal


http://www.gazzettadelsud.it/NotiziaArchivio.aspx?art=67737&Edizione=27&A=20100511