mercoledì 15 settembre 2010
Assemblea dei ricercatori venerdì 17 - Roberto Ciccarelli per IL Manifesto
Assemblea dei ricercatori venerdì 17 - Roberto Ciccarelli per IL Manifesto
Incuranti della superstizione, e amanti delle rotte controvento, i
ricercatori universitari della rete 29 aprile hanno convocato la seconda
assemblea nazionale
contro la riforma Gelmini venerdì 17 settembre nell'aula La Ginestra della
facoltà di Chimica alla Sapienza di Roma. Il momento è tra i più
promettenti. La
crisi che ha frantumato il Pdl minaccia di bloccare l'iter parlamentare di
una legge che trasformerà l'università in una zattera alla deriva con
ricercatori
sempre più vecchi e malpagati e una moltitudine di precari che servirà a
tappare i buchi lasciati dal pensionamento di massa dei docenti (oltre 6
mila entro il
2014). I finiani con Giuseppe Valditara hanno già chiesto di rifinanziare
l'università e non i produttori di latte di Bossi. In attesa di conoscere
l'esito
dell'agonia del governo, e della discussione alla Camera, i ricercatori
hanno deciso di confermare il ritiro della disponibilità agli incarichi
didattici non
obbligatori per legge. Una protesta che ha raccolto l'adesione del 59% dei
ricercatori italiani (10475 sui 17570 censiti in 322 facoltà) e si batte a
favore
dell'istituzione del ruolo unico per i professori universitari, per un
contratto unico per le figure precarie che oggi garantiscono il
funzionamento dei corsi,
per il ritiro del taglio di 1,3 miliardi di euro al Fondo ordinario di
finanziamento per gli atenei e il rifinanziamento di un sistema al
collasso (solo la
Sapienza ha un bilancio in rosso di 80 milioni di euro). Motivazioni ormai
note da mesi, alle quali però serve ora un cambio di passo. Una necessità
non del
tutto sconosciuta ai ricercatori per una ragione storica. Sin dalla
Pantera nel 1989-90, infatti, la maggioranza dei soggetti che hanno
criticato le riforme
universitarie erano esterni all'organizzazione della didattica e della
ricerca. A chiusura di un devastante ciclo «riformatore» bipartisan durato
vent'anni, la
riforma Gelmini ha fatto emergere un conflitto interno al corpo accademico
abituato alle diatribe sulla gestione di risorse sempre più ridotte e sui
posti da
garantirsi ai concorsi. Se, in passato, la protesta degli studenti e dei
ricercatori precari ha sofferto l'isolamento rispetto al mondo accademico,
oggi i
ricercatori corrono lo stesso rischio rispetto alla società. Per questa
ragione tra i punti del loro documento si legge una forte richiesta di
interlocuzione
con gli studenti e i precari che nell'ultimo anno sono rimasti ai margini
della protesta. Il progetto della rete 29 aprile è costruire una
coalizione con le
mobilitazioni nel mondo della scuola, quelle degli enti di ricerca
«soppressi» dalla manovra finanziaria di luglio (se ne parlerà nel
pomeriggio del 17 in un
incontro con la Rete della ricerca pubblica), dei precari e degli
studenti, oltre che con i sindacati. Sono molto concrete le ragioni che
lasciano credere che
il conflitto continuerà anche nel caso dello scioglimento del parlamento.
In media i ricercatori mobilitati hanno poco più di quarant'anni, non
avranno
possibilità di carriera e, a causa della finanziaria estiva, perderanno
6642 euro per il blocco degli scatti stipendiali fino al 2013 e 5650 euro
per il
mancato adeguamento Istat. Esistono però almeno altre due ipotesi che la
rete 29 aprile sta valutando. La prima è legata allo «scambio» (definito
«ricatto»
dall'associazione dei docenti dell'Andu) proposto dalla Gelmini ai
ricercatori (e alla Conferenza dei Rettori): accettate prima la riforma e
noi vi daremo i
fondi per 12 mila concorsi per associato e 40 milioni di euro per
ripianare i tagli agli stipendi. Una promessa a dir poco vaga, considerati
anche i propositi
del ministro dell'Economia Tremonti, vera anima di questa sedicente
riforma, che per fine anno ha promesso solo una finanziaria «tabellare».
Le risorse
promesse dovranno essere cercate con una lanterna nella notte in cui i
bilanci pubblici degli stati europei verranno riscritti con il pugno di
ferro del
monetarismo. Ragioni sufficienti per non aspettare i tempi della crisi del
governo e immaginare persino l'ipotesi peggiore. Paradosso dei paradossi
sarebbe
infatti quello di un governo che vara una riforma a costo zero per
portarla in campagna elettorale con la soddisfazione degli ideologi della
meritocrazia
fasulla e il tacito consenso di chi avrebbe dovuto indicare ben altre
prospettive. Tra ipotesi e dubbi nell'ultima settimana sta comunque
emergendo un fatto.
In molte facoltà i docenti sono orientati a posticipare l'inizio delle
lezioni di un mese. Due anni fa bastò una settimana per fare partire la
mobilitazione
generale.
Incuranti della superstizione, e amanti delle rotte controvento, i
ricercatori universitari della rete 29 aprile hanno convocato la seconda
assemblea nazionale
contro la riforma Gelmini venerdì 17 settembre nell'aula La Ginestra della
facoltà di Chimica alla Sapienza di Roma. Il momento è tra i più
promettenti. La
crisi che ha frantumato il Pdl minaccia di bloccare l'iter parlamentare di
una legge che trasformerà l'università in una zattera alla deriva con
ricercatori
sempre più vecchi e malpagati e una moltitudine di precari che servirà a
tappare i buchi lasciati dal pensionamento di massa dei docenti (oltre 6
mila entro il
2014). I finiani con Giuseppe Valditara hanno già chiesto di rifinanziare
l'università e non i produttori di latte di Bossi. In attesa di conoscere
l'esito
dell'agonia del governo, e della discussione alla Camera, i ricercatori
hanno deciso di confermare il ritiro della disponibilità agli incarichi
didattici non
obbligatori per legge. Una protesta che ha raccolto l'adesione del 59% dei
ricercatori italiani (10475 sui 17570 censiti in 322 facoltà) e si batte a
favore
dell'istituzione del ruolo unico per i professori universitari, per un
contratto unico per le figure precarie che oggi garantiscono il
funzionamento dei corsi,
per il ritiro del taglio di 1,3 miliardi di euro al Fondo ordinario di
finanziamento per gli atenei e il rifinanziamento di un sistema al
collasso (solo la
Sapienza ha un bilancio in rosso di 80 milioni di euro). Motivazioni ormai
note da mesi, alle quali però serve ora un cambio di passo. Una necessità
non del
tutto sconosciuta ai ricercatori per una ragione storica. Sin dalla
Pantera nel 1989-90, infatti, la maggioranza dei soggetti che hanno
criticato le riforme
universitarie erano esterni all'organizzazione della didattica e della
ricerca. A chiusura di un devastante ciclo «riformatore» bipartisan durato
vent'anni, la
riforma Gelmini ha fatto emergere un conflitto interno al corpo accademico
abituato alle diatribe sulla gestione di risorse sempre più ridotte e sui
posti da
garantirsi ai concorsi. Se, in passato, la protesta degli studenti e dei
ricercatori precari ha sofferto l'isolamento rispetto al mondo accademico,
oggi i
ricercatori corrono lo stesso rischio rispetto alla società. Per questa
ragione tra i punti del loro documento si legge una forte richiesta di
interlocuzione
con gli studenti e i precari che nell'ultimo anno sono rimasti ai margini
della protesta. Il progetto della rete 29 aprile è costruire una
coalizione con le
mobilitazioni nel mondo della scuola, quelle degli enti di ricerca
«soppressi» dalla manovra finanziaria di luglio (se ne parlerà nel
pomeriggio del 17 in un
incontro con la Rete della ricerca pubblica), dei precari e degli
studenti, oltre che con i sindacati. Sono molto concrete le ragioni che
lasciano credere che
il conflitto continuerà anche nel caso dello scioglimento del parlamento.
In media i ricercatori mobilitati hanno poco più di quarant'anni, non
avranno
possibilità di carriera e, a causa della finanziaria estiva, perderanno
6642 euro per il blocco degli scatti stipendiali fino al 2013 e 5650 euro
per il
mancato adeguamento Istat. Esistono però almeno altre due ipotesi che la
rete 29 aprile sta valutando. La prima è legata allo «scambio» (definito
«ricatto»
dall'associazione dei docenti dell'Andu) proposto dalla Gelmini ai
ricercatori (e alla Conferenza dei Rettori): accettate prima la riforma e
noi vi daremo i
fondi per 12 mila concorsi per associato e 40 milioni di euro per
ripianare i tagli agli stipendi. Una promessa a dir poco vaga, considerati
anche i propositi
del ministro dell'Economia Tremonti, vera anima di questa sedicente
riforma, che per fine anno ha promesso solo una finanziaria «tabellare».
Le risorse
promesse dovranno essere cercate con una lanterna nella notte in cui i
bilanci pubblici degli stati europei verranno riscritti con il pugno di
ferro del
monetarismo. Ragioni sufficienti per non aspettare i tempi della crisi del
governo e immaginare persino l'ipotesi peggiore. Paradosso dei paradossi
sarebbe
infatti quello di un governo che vara una riforma a costo zero per
portarla in campagna elettorale con la soddisfazione degli ideologi della
meritocrazia
fasulla e il tacito consenso di chi avrebbe dovuto indicare ben altre
prospettive. Tra ipotesi e dubbi nell'ultima settimana sta comunque
emergendo un fatto.
In molte facoltà i docenti sono orientati a posticipare l'inizio delle
lezioni di un mese. Due anni fa bastò una settimana per fare partire la
mobilitazione
generale.