venerdì 26 novembre 2010
L’Università fatta a pezzi.
L’Università fatta a pezzi.
di Giorgio Lo Feudo
Tutto è iniziato da quando, dopo tangentopoli, si è insediato un po’ ovunque il maledetto virus dell’aziendalismo. Grazie all’incapacità culturale di alcuni neo-politici, sedicenti statisti, si è sparsa in Italia la pericolosa filosofia del fare, la quale, anziché contrapporsi al vacuo e improduttivo dire, ha mortificato e quasi del tutto eliminato la facoltà di pensare. Fare, senza riflettere e senza chiedersi nulla sul dopo. Il ministro Gelmini ha sposato in pieno tale orientamento e la società tutta, ne pagherà le conseguenze. Entriamo nel merito. Il Senato accademico, organo che oggi coordina le attività didattiche, con il ddl Gelmini assumerà funzioni meramente consultive. Quasi tutti i suoi obblighi ricadranno sul Consiglio di amministrazione, il quale, ovviamente, li gestirà non più con occhio accademico ma con sguardo imprenditoriale. Le Facoltà verranno pian piano soppresse e sostituite da macro-dipartimenti che, guidati da un gruppo di ordinari, svolgeranno i compiti che oggi, in maniera pluralista e democratica, le stesse disimpegnano egregiamente. Gli studenti, i pochissimi che otterranno finanziamenti, alla fine dei corsi li dovranno restituire. Gli aspiranti professori, dovranno conseguire un’abilitazione nazionale, scandalosamente a termine, e poi sperare che le Università li immettano velocemente in ruolo. Infine, i ricercatori anziani; essi restano al palo, con un enorme peso didattico sulle spalle. Messi “ad esaurimento”, rischiano di divenirlo sul serio. Cosa resta da fare? Con la politica più nulla. Semmai con la magistratura. Bisognerà attrezzarsi a dovere e, a legge purtroppo approvata, promuovere ricorsi, class action e quant’altro possa consentire ai giudici, per fortuna autonomi e imparziali, di porre rimedio alle iniquità ed alle illegittimità, anche costituzionali, che il DDL Gelmini contiene.
di Giorgio Lo Feudo
Tutto è iniziato da quando, dopo tangentopoli, si è insediato un po’ ovunque il maledetto virus dell’aziendalismo. Grazie all’incapacità culturale di alcuni neo-politici, sedicenti statisti, si è sparsa in Italia la pericolosa filosofia del fare, la quale, anziché contrapporsi al vacuo e improduttivo dire, ha mortificato e quasi del tutto eliminato la facoltà di pensare. Fare, senza riflettere e senza chiedersi nulla sul dopo. Il ministro Gelmini ha sposato in pieno tale orientamento e la società tutta, ne pagherà le conseguenze. Entriamo nel merito. Il Senato accademico, organo che oggi coordina le attività didattiche, con il ddl Gelmini assumerà funzioni meramente consultive. Quasi tutti i suoi obblighi ricadranno sul Consiglio di amministrazione, il quale, ovviamente, li gestirà non più con occhio accademico ma con sguardo imprenditoriale. Le Facoltà verranno pian piano soppresse e sostituite da macro-dipartimenti che, guidati da un gruppo di ordinari, svolgeranno i compiti che oggi, in maniera pluralista e democratica, le stesse disimpegnano egregiamente. Gli studenti, i pochissimi che otterranno finanziamenti, alla fine dei corsi li dovranno restituire. Gli aspiranti professori, dovranno conseguire un’abilitazione nazionale, scandalosamente a termine, e poi sperare che le Università li immettano velocemente in ruolo. Infine, i ricercatori anziani; essi restano al palo, con un enorme peso didattico sulle spalle. Messi “ad esaurimento”, rischiano di divenirlo sul serio. Cosa resta da fare? Con la politica più nulla. Semmai con la magistratura. Bisognerà attrezzarsi a dovere e, a legge purtroppo approvata, promuovere ricorsi, class action e quant’altro possa consentire ai giudici, per fortuna autonomi e imparziali, di porre rimedio alle iniquità ed alle illegittimità, anche costituzionali, che il DDL Gelmini contiene.