lunedì 21 giugno 2010
Il Ministro Gelmini e la protesta dei Ricercatori
di Annalisa Monaco (membro del Direttivo Nazionale CNRU)
Alcune osservazioni del Ministro On. Gelmini espresse in un intervista a “Il Giornale” del 19 maggio scorso sono incomprensibili, se fatte in relazione alla protesta dei Ricercatori.
La protesta dei “Ricercatori” viene criticata sulla base di un “consenso” alla politica generale del Governo proveniente da una votazione per cariche elettive degli studenti all’interno del CNSU. Dalla quale votazione si evincerebbe che la “maggioranza” degli studenti sarebbero in accordo con il Governo e contro la”protesta” dei Ricercatori.
Ma quale logica seguono tali affermazioni? Non esiste la benché minima relazione tra le osservazioni, l’una non è conseguenza dell’altra, e qualcuno applaude.
Bene, si facciano fare allora le lezioni e la ricerca a quegli studenti, dove starebbe il problema? Si chieda alla CRUI di appoggiare l’arruolamento dei “maturandi” di quest’anno che, forieri di una nuova università, saranno gli araldi di un futuro “moderno” di gente non strumentalizzabile. Per inciso, la prossima volta che i medici dovessero opporsi a qualche taglio sulla Sanità si vadano a vedere come hanno votato anche in questo caso gli studenti. Perché dopo tutto sono anche loro utenti della Sanità. Lo stesso quando avremo delle vertenze con i metalmeccanici perché molti sono gli studenti che guidano la macchina e non vorremo mica deluderli sull’opportunità di riformare il contratto di chi gli costruisce le macchine? Ancora per inciso, non ho nulla contro il parere politico degli studenti, ma il modo con cui sono stati tirati in ballo non c’entra niente e, forse, proprio loro dovrebbero preoccuparsi di essere tirati qua e là come la copertina di Linus.
Due cose obietto duramente su questo modo di procedere.
Primo: chi sta strumentalizzando cosa? La protesta dei Ricercatori non ha un’anima di “sinistra”, non ha a capo i “soliti” comunisti: non si tratta, come sostiene il Ministro On. Gelmini nella sua intervista, di un gruppo di persone di “una sinistra che non offre soluzioni, ma protesta a prescindere”. Potrebbe essere interessante per l’On. Ministro accettare di discutere con i “Ricercatori” e scoprire che molti di essi hanno votato il leader del suo partito, altri l’opposizione, probabilmente con le percentuali emerse dalle votazioni politiche o regionali.
Voglio offrire un dato che chiarisce come non c’entra la dicotomia destra e sinistra che sembrano voler cavalcare in molti all’interno di alcune associazioni sindacali ma anche tra gli esponenti del Governo. In molti Atenei, non in una minima percentuale come il Ministro sostiene – si provi a chiedere ai Rettori, che notoriamente non sono un covo di rivoluzionari di sinistra – , la non disponibilità alla didattica intesa come forma di protesta dichiarata e sottoscritta, raggiunge l’80-90% dei Ricercatori. Non pare che tale numero contraddica la strumentalizzazione che Governo, taluni Partiti o taluni Sindacati, vorrebbero operare di tale evento? Mi si perdoni, ma quale differenza ci sarebbe tra il “sindacato” che vuole a tutti i costi mettere il proprio cappello sulla protesta dei Ricercatori e il Ministro, porta voce del Governo, che s’appella a schieramenti politici inesistenti per sfuggire alle risposte che la protesta stessa richiede? Non si stanno muovendo gli uni e gli altri con una logica di strumentalizzazione analoga? È forse un caso che soltanto gli appartenenti alla CGIL (in numero di tre) siano stati ricevuti dal Presidente della VII Commissione del Senato, Sen. Possa, durante la protesta – dei Ricercatori assieme alle altre componenti universitarie e non solo della CGIL – davanti a Palazzo Madama? Sicuramente la “delegazione” non l’ha determinata il Presidente della VII Commissione, ma il dubbio che fosse una cosa parziale e strumentale avrebbe, forse, dovuto nascere nella mente dell’On. Gelmini considerando i molti mesi di discussione sul suo ddl ai quali avrà certamente assistito. Altrimenti perché avremmo discusso con il Relatore della legge per gli emendamenti al suo ddl se poi solo la CGIL sarebbe da considerarsi come interlocutore? Bastava parlare da subito con loro e si sarebbe risolto il problema. Sto pensando a quanto tempo ho, evidentemente, perso con la VII Commissione del Senato se tutto quanto detto diventa uno “scontro” con “una sinistra che non offre soluzioni ma protesta a prescindere”.
Che peccato sentire risuonare un”politichese” che dovrebbe appartenere alla cosiddetta “prima Repubblica” sulle labbra, o in punta di penna, degli appartenenti alla seconda.
Secondo: si continua a sorvolare sul fatto che la protesta ha due motivazioni.
La prima riguarda direttamente il ddl e le conseguenze sull’organizzazione dell’università che ne derivano, o si pensa ne deriveranno. Questa motivazione è quella nella quale è più possibile lo “scontro” propriamente politico. È possibile che si abbiano punti di vista anche opposti e che si diano giudizi condizionati dal proprio credo politico o partitico. Di questo non voglio parlare: i giudizi politici sono così difficili da trarre, i sofismi così facili da evocare.
La seconda motivazione ha ben poco di politico, parla di ingiustizia. Questa sì “a prescindere”. Un problema in questi anni è andato palesandosi ai danni dei Ricercatori universitari che il ddl promosso, rimanendo le cose come sono, non potrà risolvere.
Cosa importa discutere del futuro luminoso di un’università che non esiste se neppure una pesante ingiustizia, come quella perpetrata per un quindicennio ai danni degli attuali Ricercatori, viene presa in considerazione?
Gli attuali Ricercatori universitari si trovano letteralmente in mezzo ad un guado. Nessuna sponda è più visibile. Da una parte, le difficoltà economiche del Paese e la necessità di rendere i bilanci degli Atenei adeguati a criteri di “virtuosità” impediscono e, ritengo, impediranno per molto tempo un numero adeguato di concorsi per la docenza di seconda e prima fascia; dall’altra, il ddl non prevede cambiamenti di stato giuridico per gli attuali Ricercatori ma soltanto “opportunità concorsuali”, come detto impraticabili, e attribuisce il destino “ad esaurimento” alla nostra categoria. Non servono trucchi contabili, attribuzioni percentuali di chiamate dirette, listoni di abilitazione (vedi emendamenti all’art.9): il fatto è che senza fondi e con il turn over bloccato dire 30% o 50% di chiamate dirette oppure dire tutti o nessuno equivale a dire la stessa cosa. Perché il 5% di zero è lo stesso del 70% di niente. Zero fondi, quindi zero risultato per qualsiasi ipotesi percentuale.
Perché continuare a prenderci in giro? “A prescindere” da qualsiasi legge o emendamento, questo zero per gli attuali Ricercatori suona col rombo di un uragano, il frastuono di mille tuoni che nessun gioco di prestigio pseudo “meritocratico” può tacitare.
E credo che il termine “ad esaurimento”, evocato per i Ricercatori universitari attuali, rappresenti perfettamente lo stato e il nostro futuro divenire. Infatti, venendo a mancare le condizioni per le progressioni di carriera, se non per numeri marginali, è possibile che l’esaurimento della categoria degli attuali Ricercatori avvenga in una ventina di anni, al traguardo del pensionamento.
Pochissimi di noi avrebbero pensato, entrando nell’Università, che il proprio traguardo sarebbe stato il pensionamento (o il prepensionamento!). Ma se questo dovesse essere, quale spirito di ricerca si potrebbe chiedere a queste persone?
In uno scenario facilmente intuibile del prossimo futuro – diciamo 5-10 anni – avremo nell’Università molti 35-40enni Ricercatori di “nuovo ordinamento” e molti 45-50enni Ricercatori ad esaurimento del “vecchio ordinamento”. I più “bravi”, tra i primi, che potranno essere poi inquadrati nel ruolo docente, la maggior parte tra i secondi, anche se ”bravi”, a tirare a campare verso la pensione. Nelle discussioni sull’argomento ho sentito anche sostenere che i Ricercatori “vecchio ordinamento” lavoreranno meglio e di più spinti dalla concorrenza dei Ricercatori del “nuovo ordinamento” i quali, a loro volta, lavorerebbero di più e meglio per lo stato di incertezza che avranno fino alla conferma del loro posto in via definitiva con l’inquadramento in seconda fascia. Insomma, un volano di virtù esponenziale. Ben sapendo che ci sono studi che dimostrano che “la precarietà incide negativamente sulla produttività scientifica”, non sarebbe difficile controbattere tali argomentazioni e quindi, onestamente, ci si sente presi in giro.
Il non vedere all’orizzonte alcuna volontà di risolvere realmente il problema del riconoscimento del ruolo docente ai Ricercatori universitari attuali, di “pensare” a un provvedimento transitorio tra lo stato attuale e quello futuro previsto per i Ricercatori a tempo determinato, mi fa dire una cosa che già ho scritto qualche giorno fa: “perché affannarsi a discutere d’altro?”
Alcune osservazioni del Ministro On. Gelmini espresse in un intervista a “Il Giornale” del 19 maggio scorso sono incomprensibili, se fatte in relazione alla protesta dei Ricercatori.
La protesta dei “Ricercatori” viene criticata sulla base di un “consenso” alla politica generale del Governo proveniente da una votazione per cariche elettive degli studenti all’interno del CNSU. Dalla quale votazione si evincerebbe che la “maggioranza” degli studenti sarebbero in accordo con il Governo e contro la”protesta” dei Ricercatori.
Ma quale logica seguono tali affermazioni? Non esiste la benché minima relazione tra le osservazioni, l’una non è conseguenza dell’altra, e qualcuno applaude.
Bene, si facciano fare allora le lezioni e la ricerca a quegli studenti, dove starebbe il problema? Si chieda alla CRUI di appoggiare l’arruolamento dei “maturandi” di quest’anno che, forieri di una nuova università, saranno gli araldi di un futuro “moderno” di gente non strumentalizzabile. Per inciso, la prossima volta che i medici dovessero opporsi a qualche taglio sulla Sanità si vadano a vedere come hanno votato anche in questo caso gli studenti. Perché dopo tutto sono anche loro utenti della Sanità. Lo stesso quando avremo delle vertenze con i metalmeccanici perché molti sono gli studenti che guidano la macchina e non vorremo mica deluderli sull’opportunità di riformare il contratto di chi gli costruisce le macchine? Ancora per inciso, non ho nulla contro il parere politico degli studenti, ma il modo con cui sono stati tirati in ballo non c’entra niente e, forse, proprio loro dovrebbero preoccuparsi di essere tirati qua e là come la copertina di Linus.
Due cose obietto duramente su questo modo di procedere.
Primo: chi sta strumentalizzando cosa? La protesta dei Ricercatori non ha un’anima di “sinistra”, non ha a capo i “soliti” comunisti: non si tratta, come sostiene il Ministro On. Gelmini nella sua intervista, di un gruppo di persone di “una sinistra che non offre soluzioni, ma protesta a prescindere”. Potrebbe essere interessante per l’On. Ministro accettare di discutere con i “Ricercatori” e scoprire che molti di essi hanno votato il leader del suo partito, altri l’opposizione, probabilmente con le percentuali emerse dalle votazioni politiche o regionali.
Voglio offrire un dato che chiarisce come non c’entra la dicotomia destra e sinistra che sembrano voler cavalcare in molti all’interno di alcune associazioni sindacali ma anche tra gli esponenti del Governo. In molti Atenei, non in una minima percentuale come il Ministro sostiene – si provi a chiedere ai Rettori, che notoriamente non sono un covo di rivoluzionari di sinistra – , la non disponibilità alla didattica intesa come forma di protesta dichiarata e sottoscritta, raggiunge l’80-90% dei Ricercatori. Non pare che tale numero contraddica la strumentalizzazione che Governo, taluni Partiti o taluni Sindacati, vorrebbero operare di tale evento? Mi si perdoni, ma quale differenza ci sarebbe tra il “sindacato” che vuole a tutti i costi mettere il proprio cappello sulla protesta dei Ricercatori e il Ministro, porta voce del Governo, che s’appella a schieramenti politici inesistenti per sfuggire alle risposte che la protesta stessa richiede? Non si stanno muovendo gli uni e gli altri con una logica di strumentalizzazione analoga? È forse un caso che soltanto gli appartenenti alla CGIL (in numero di tre) siano stati ricevuti dal Presidente della VII Commissione del Senato, Sen. Possa, durante la protesta – dei Ricercatori assieme alle altre componenti universitarie e non solo della CGIL – davanti a Palazzo Madama? Sicuramente la “delegazione” non l’ha determinata il Presidente della VII Commissione, ma il dubbio che fosse una cosa parziale e strumentale avrebbe, forse, dovuto nascere nella mente dell’On. Gelmini considerando i molti mesi di discussione sul suo ddl ai quali avrà certamente assistito. Altrimenti perché avremmo discusso con il Relatore della legge per gli emendamenti al suo ddl se poi solo la CGIL sarebbe da considerarsi come interlocutore? Bastava parlare da subito con loro e si sarebbe risolto il problema. Sto pensando a quanto tempo ho, evidentemente, perso con la VII Commissione del Senato se tutto quanto detto diventa uno “scontro” con “una sinistra che non offre soluzioni ma protesta a prescindere”.
Che peccato sentire risuonare un”politichese” che dovrebbe appartenere alla cosiddetta “prima Repubblica” sulle labbra, o in punta di penna, degli appartenenti alla seconda.
Secondo: si continua a sorvolare sul fatto che la protesta ha due motivazioni.
La prima riguarda direttamente il ddl e le conseguenze sull’organizzazione dell’università che ne derivano, o si pensa ne deriveranno. Questa motivazione è quella nella quale è più possibile lo “scontro” propriamente politico. È possibile che si abbiano punti di vista anche opposti e che si diano giudizi condizionati dal proprio credo politico o partitico. Di questo non voglio parlare: i giudizi politici sono così difficili da trarre, i sofismi così facili da evocare.
La seconda motivazione ha ben poco di politico, parla di ingiustizia. Questa sì “a prescindere”. Un problema in questi anni è andato palesandosi ai danni dei Ricercatori universitari che il ddl promosso, rimanendo le cose come sono, non potrà risolvere.
Cosa importa discutere del futuro luminoso di un’università che non esiste se neppure una pesante ingiustizia, come quella perpetrata per un quindicennio ai danni degli attuali Ricercatori, viene presa in considerazione?
Gli attuali Ricercatori universitari si trovano letteralmente in mezzo ad un guado. Nessuna sponda è più visibile. Da una parte, le difficoltà economiche del Paese e la necessità di rendere i bilanci degli Atenei adeguati a criteri di “virtuosità” impediscono e, ritengo, impediranno per molto tempo un numero adeguato di concorsi per la docenza di seconda e prima fascia; dall’altra, il ddl non prevede cambiamenti di stato giuridico per gli attuali Ricercatori ma soltanto “opportunità concorsuali”, come detto impraticabili, e attribuisce il destino “ad esaurimento” alla nostra categoria. Non servono trucchi contabili, attribuzioni percentuali di chiamate dirette, listoni di abilitazione (vedi emendamenti all’art.9): il fatto è che senza fondi e con il turn over bloccato dire 30% o 50% di chiamate dirette oppure dire tutti o nessuno equivale a dire la stessa cosa. Perché il 5% di zero è lo stesso del 70% di niente. Zero fondi, quindi zero risultato per qualsiasi ipotesi percentuale.
Perché continuare a prenderci in giro? “A prescindere” da qualsiasi legge o emendamento, questo zero per gli attuali Ricercatori suona col rombo di un uragano, il frastuono di mille tuoni che nessun gioco di prestigio pseudo “meritocratico” può tacitare.
E credo che il termine “ad esaurimento”, evocato per i Ricercatori universitari attuali, rappresenti perfettamente lo stato e il nostro futuro divenire. Infatti, venendo a mancare le condizioni per le progressioni di carriera, se non per numeri marginali, è possibile che l’esaurimento della categoria degli attuali Ricercatori avvenga in una ventina di anni, al traguardo del pensionamento.
Pochissimi di noi avrebbero pensato, entrando nell’Università, che il proprio traguardo sarebbe stato il pensionamento (o il prepensionamento!). Ma se questo dovesse essere, quale spirito di ricerca si potrebbe chiedere a queste persone?
In uno scenario facilmente intuibile del prossimo futuro – diciamo 5-10 anni – avremo nell’Università molti 35-40enni Ricercatori di “nuovo ordinamento” e molti 45-50enni Ricercatori ad esaurimento del “vecchio ordinamento”. I più “bravi”, tra i primi, che potranno essere poi inquadrati nel ruolo docente, la maggior parte tra i secondi, anche se ”bravi”, a tirare a campare verso la pensione. Nelle discussioni sull’argomento ho sentito anche sostenere che i Ricercatori “vecchio ordinamento” lavoreranno meglio e di più spinti dalla concorrenza dei Ricercatori del “nuovo ordinamento” i quali, a loro volta, lavorerebbero di più e meglio per lo stato di incertezza che avranno fino alla conferma del loro posto in via definitiva con l’inquadramento in seconda fascia. Insomma, un volano di virtù esponenziale. Ben sapendo che ci sono studi che dimostrano che “la precarietà incide negativamente sulla produttività scientifica”, non sarebbe difficile controbattere tali argomentazioni e quindi, onestamente, ci si sente presi in giro.
Il non vedere all’orizzonte alcuna volontà di risolvere realmente il problema del riconoscimento del ruolo docente ai Ricercatori universitari attuali, di “pensare” a un provvedimento transitorio tra lo stato attuale e quello futuro previsto per i Ricercatori a tempo determinato, mi fa dire una cosa che già ho scritto qualche giorno fa: “perché affannarsi a discutere d’altro?”