venerdì 8 ottobre 2010
Lettera aperta a studenti e genitori dal CNRU
Lettera aperta a studenti e genitori da parte del Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari
Cari studenti e genitori,
i “ricercatori” universitari italiani stanno protestando contro il DDL sull’Università e la manovra finanziaria dell’On. Tremonti.
Questa forma di protesta comporterà disagi anche per voi, quindi riteniamo giusto che sappiate perché parte della difficoltà che sta vivendo l’Università sarà anche da voi condivisa.
L’Università sta vivendo un momento difficile. Le risorse a disposizione sono andate riducendosi negli anni, i fondi per la ricerca e per la didattica sono diventati talmente esigui che spesso non si riesce a fornire il minimo necessario. Talvolta mancano i fondi per le fotocopie e, sempre più spesso, anche per la carta igienica, come in moltissime scuole.
Negli anni scorsi la necessaria espansione della conoscenza e l’indispensabile insegnamento della stessa ha richiesto ad una società moderna come la nostra di ampliare l’offerta formativa degli atenei. Il termine offerta formativa indica ciò che gli atenei possono mettere a disposizione dei cittadini del proprio territorio e del proprio Paese in termini di corsi e di didattica. L’aumento di tale offerta non è un capriccio di gente che seduta dietro ad una scrivania pensa a come impiegare tempo e denaro altrui. In realtà, è un atto di responsabilità che tiene conto delle esigenze del presente, che cerca di offrire ai giovani gli strumenti per meglio affrontare le sfide che la moderna società pone. Le mille sfaccettature della nostra società rendono necessaria un’offerta formativa la più variegata possibile. Un giovane deve poter scegliere tra mille possibilità formative, non tra dieci come nel passato, perché a differenza del passato le opportunità di lavoro sono diversificate così come gli interessi che attendono i giovani di oggi.
Ma nessuna offerta formativa ha un vero valore se la “società” non è in grado di offrirla al numero più alto possibile di giovani. E questo vale soprattutto in un periodo di crisi, allorquando le famiglie economicamente più deboli sono anche le più colpite dall’aumento dei costi per l’accesso dei propri figli all’Università.
I tagli al finanziamento dell’Università già da tempo hanno messo in crisi questo sistema e i “ricercatori” si sono sacrificati negli anni, svolgendo un compito che permettesse di mantenere la qualità e la quantità dell’offerta formativa e cioè della didattica.
Questo significa che molti tra quelli che chiamate “professori” e che hanno insegnato corsi, hanno fatto esami, hanno assistito gli studenti nelle loro tesi e che hanno raccolto i dubbi e le frustrazioni durante i vostri anni d’università non sono veri “professori”, ma “ricercatori”, gente che per dovere deve fare ricerca e non “insegnare” e “fare lezione”. Questo significa che per fare ciò che permette agli studenti di imparare, superare gli esami e diventare “dottori”, il ricercatore deve scegliere tra il proprio dovere e l’interesse dell’università e degli studenti. Sì, perché solo facendo ricerca e pubblicandola un ricercatore può incrementare il suo punteggio per fare “carriera” e diventare “professore” di ruolo. La didattica che permette di mantenere l’offerta formativa e agli studenti di laurearsi, non è utile per superare un concorso e per progredire nella propria carriera. Tutto questo sembra incredibile, quasi verrebbe da ridere, se non fosse che molti giovani ricercatori guadagnano 1.250 euro al mese, si bloccano gli scatti di anzianità, si riduce la tredicesima e via di questo passo.
Si esce da una crisi anche aumentando le possibilità creative e di conoscenza dei giovani, si esce da una crisi investendo sul futuro, come è stato fatto in altri Paesi, e non penalizzando le Università che debbono formare e trasmettere la creatività e la conoscenza. Si esce da una crisi anche sponsorizzando chi ha lavorato al di là delle proprie competenze, perché ha mostrato il proprio valore. Molti, inoltre, perderanno il loro posto di lavoro, perché “precari” o “a contratto”, pur avendo insegnato e seguito gli studenti.
I ricercatori stanno protestando nell’unica maniera civile e legale a loro concessa. D’ora in poi si atterranno soltanto a ciò che il loro statuto giuridico impone. Quindi, non insegneranno più: la conseguenza sarà la riduzione dell’offerta formativa degli atenei. Molti studenti andando nelle segreterie non troveranno più, probabilmente, i corsi che avrebbero voluto frequentare e dovranno cercarseli in altre università, ammesso che in altre università, senza i “ricercatori”, tali corsi possano essere attivati. Questa è la realtà.
Le tasse di iscrizione aumenteranno, i servizi per gli studenti si ridurranno, l’offerta formativa calerà drasticamente in quantità e qualità. Ecco perché interessa anche a voi la protesta dei “ricercatori”.
I “ricercatori” stanno protestando per far sì che il futuro dell’Università e dei giovani non sia pregiudicato da tagli alle risorse; i “ricercatori” stanno protestando per avere una “riforma” che preveda un’Università pubblica pienamente efficiente, che preveda un futuro per tutti i giovani, che permetta all’Università pubblica di offrire le stesse opportunità a tutti i suoi cittadini. Perché laurearsi non torni ad essere un privilegio di pochi.
L’Università deve essere riformata, guarita, restaurata, amata, desiderata, coccolata; non bistrattata, impoverita e dimenticata tra i denti di chi la vuole smembrare e sbranare.
Evitare tutto questo dipende in gran parte da noi che lavoriamo nelle università, ma anche dagli studenti e dai loro genitori: insomma, dipende da tutti gli Italiani.
Aiutateci a darvi il futuro che tutti meritiamo.
Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari
Cari studenti e genitori,
i “ricercatori” universitari italiani stanno protestando contro il DDL sull’Università e la manovra finanziaria dell’On. Tremonti.
Questa forma di protesta comporterà disagi anche per voi, quindi riteniamo giusto che sappiate perché parte della difficoltà che sta vivendo l’Università sarà anche da voi condivisa.
L’Università sta vivendo un momento difficile. Le risorse a disposizione sono andate riducendosi negli anni, i fondi per la ricerca e per la didattica sono diventati talmente esigui che spesso non si riesce a fornire il minimo necessario. Talvolta mancano i fondi per le fotocopie e, sempre più spesso, anche per la carta igienica, come in moltissime scuole.
Negli anni scorsi la necessaria espansione della conoscenza e l’indispensabile insegnamento della stessa ha richiesto ad una società moderna come la nostra di ampliare l’offerta formativa degli atenei. Il termine offerta formativa indica ciò che gli atenei possono mettere a disposizione dei cittadini del proprio territorio e del proprio Paese in termini di corsi e di didattica. L’aumento di tale offerta non è un capriccio di gente che seduta dietro ad una scrivania pensa a come impiegare tempo e denaro altrui. In realtà, è un atto di responsabilità che tiene conto delle esigenze del presente, che cerca di offrire ai giovani gli strumenti per meglio affrontare le sfide che la moderna società pone. Le mille sfaccettature della nostra società rendono necessaria un’offerta formativa la più variegata possibile. Un giovane deve poter scegliere tra mille possibilità formative, non tra dieci come nel passato, perché a differenza del passato le opportunità di lavoro sono diversificate così come gli interessi che attendono i giovani di oggi.
Ma nessuna offerta formativa ha un vero valore se la “società” non è in grado di offrirla al numero più alto possibile di giovani. E questo vale soprattutto in un periodo di crisi, allorquando le famiglie economicamente più deboli sono anche le più colpite dall’aumento dei costi per l’accesso dei propri figli all’Università.
I tagli al finanziamento dell’Università già da tempo hanno messo in crisi questo sistema e i “ricercatori” si sono sacrificati negli anni, svolgendo un compito che permettesse di mantenere la qualità e la quantità dell’offerta formativa e cioè della didattica.
Questo significa che molti tra quelli che chiamate “professori” e che hanno insegnato corsi, hanno fatto esami, hanno assistito gli studenti nelle loro tesi e che hanno raccolto i dubbi e le frustrazioni durante i vostri anni d’università non sono veri “professori”, ma “ricercatori”, gente che per dovere deve fare ricerca e non “insegnare” e “fare lezione”. Questo significa che per fare ciò che permette agli studenti di imparare, superare gli esami e diventare “dottori”, il ricercatore deve scegliere tra il proprio dovere e l’interesse dell’università e degli studenti. Sì, perché solo facendo ricerca e pubblicandola un ricercatore può incrementare il suo punteggio per fare “carriera” e diventare “professore” di ruolo. La didattica che permette di mantenere l’offerta formativa e agli studenti di laurearsi, non è utile per superare un concorso e per progredire nella propria carriera. Tutto questo sembra incredibile, quasi verrebbe da ridere, se non fosse che molti giovani ricercatori guadagnano 1.250 euro al mese, si bloccano gli scatti di anzianità, si riduce la tredicesima e via di questo passo.
Si esce da una crisi anche aumentando le possibilità creative e di conoscenza dei giovani, si esce da una crisi investendo sul futuro, come è stato fatto in altri Paesi, e non penalizzando le Università che debbono formare e trasmettere la creatività e la conoscenza. Si esce da una crisi anche sponsorizzando chi ha lavorato al di là delle proprie competenze, perché ha mostrato il proprio valore. Molti, inoltre, perderanno il loro posto di lavoro, perché “precari” o “a contratto”, pur avendo insegnato e seguito gli studenti.
I ricercatori stanno protestando nell’unica maniera civile e legale a loro concessa. D’ora in poi si atterranno soltanto a ciò che il loro statuto giuridico impone. Quindi, non insegneranno più: la conseguenza sarà la riduzione dell’offerta formativa degli atenei. Molti studenti andando nelle segreterie non troveranno più, probabilmente, i corsi che avrebbero voluto frequentare e dovranno cercarseli in altre università, ammesso che in altre università, senza i “ricercatori”, tali corsi possano essere attivati. Questa è la realtà.
Le tasse di iscrizione aumenteranno, i servizi per gli studenti si ridurranno, l’offerta formativa calerà drasticamente in quantità e qualità. Ecco perché interessa anche a voi la protesta dei “ricercatori”.
I “ricercatori” stanno protestando per far sì che il futuro dell’Università e dei giovani non sia pregiudicato da tagli alle risorse; i “ricercatori” stanno protestando per avere una “riforma” che preveda un’Università pubblica pienamente efficiente, che preveda un futuro per tutti i giovani, che permetta all’Università pubblica di offrire le stesse opportunità a tutti i suoi cittadini. Perché laurearsi non torni ad essere un privilegio di pochi.
L’Università deve essere riformata, guarita, restaurata, amata, desiderata, coccolata; non bistrattata, impoverita e dimenticata tra i denti di chi la vuole smembrare e sbranare.
Evitare tutto questo dipende in gran parte da noi che lavoriamo nelle università, ma anche dagli studenti e dai loro genitori: insomma, dipende da tutti gli Italiani.
Aiutateci a darvi il futuro che tutti meritiamo.
Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari