giovedì 2 dicembre 2010

Riforma Gelmini: intervista al matematico italiano Claudio Procesi, considerato uno dei maggiori esperti mondiali di algebra.

L'intervista: «Italia cameriera d'Europa»

Il matematico italiano Procesi commenta la riforma Gelmini.


di Denise Faticante

Il matematico italiano Claudio Procesi, considerato uno dei maggiori esperti mondiali di algebra.

«Una riforma che non dà speranza, che relega l'Italia al ruolo di cameriere d'Europa e che fa parte di un modo di fare politica da stadio». Parole pesanti indirizzate all'ultima rivoluzione dell'università voluta dal ministro Gelmini. Quello che impressiona è che a pronunciarle non sono i ragazzi dell'Onda, né i ricercatori che sono saliti sui tetti, ma un matematico tra i maggiori esperti mondiali di algebra.
Claudio Procesi, classe '41, insegna come ordinario alla Sapienza. Prima di approdare a Roma ha lavorato e fatto ricerca all'università di Chicago e alla Normale di Parigi. Ora è anche membro dell'Accademia dei Lincei.
Esperienze e attestati che potrebbero garantirgli tranquillità e benessere. Invece no. Il professor Procesi in questi giorni, come negli ultimi anni, è stato in prima linea per evitare che «l'università italiana continuasse ad andare alla deriva». Ha creato un blog aperto alla discussione sul mondo accademico. Ha cercato, con altri colleghi, un contatto con la Gelmini. Dopo tanti mesi è riuscito per vie traverse ad avere un appuntamento con lei, ma quando si è presentato lì il ministro gli ha dato buca.

Tantissime le proteste e le manifestazioni, da Nord a Sud.

Domanda. Professor Procesi, cosa avrebbe voluto dire al ministro Gelmini?
Risposta. Sicuramente la mia intenzione era quella di aver un confronto. Non è stato possibile. Devo anche dire che quando era ministro Fabio Mussi, la situazione non era molto diversa. Per la politica l'università, il mondo della ricerca e la scienza sono trasparenti. Noi non esistiamo per loro, siamo dei fantasmi. E siccome non ci considerano, non possono certo fare il nostro bene.
D. Parole e gesti che non hanno sortito effetto. La riforma ora è legge.
R. Il fatto che sia diventata legge non mi esime dall'esprimere giudizi, però.
D. Bene, allora iniziamo.
R. Ci troviamo di fronte a un pasticcio, a una legge fatta con molti annunci e poca sostanza. Più potere ai rettori, la meritocrazia, l'idoneità nazionale, l'agenzia di valutazione. Non vede che sono tutti slogan? Che significato hanno? Sono spot politici vuoti, senza una vera idea di fondo ma soprattutto senza copertura finanziaria. Cosa me ne faccio io del listone nazionale se poi non ho i soldi per la mia ricerca? Tutto è campato in aria.
D. Qualcuno dice che questa riforma accontenta solo i baroni. É così?
R. Ma chi sono i baroni? Sono dentro l'università dagli anni Sessanta e ho visto sfilare davanti a me diverse figure di barone. Esiste quello pre-sessantottino, autoritario, burbero che rappresentava un'effettiva linea culturale. I nuovi baroni sono quelli che intrallazzano con la politica. E mi permetta di dire una cosa pesante.
D. Prego
R. Sono quelli che intrallazzano con la politica e che poi alla fine sono quelli che diventano rettori.
D. Frati (Rettore della Sapienza ndr) non sarà molto contento di queste parole.
R. Non mi faccia esporre più del dovuto. Nella mia carriera ho conosciuto solo un grande rettore che poi è stato anche un grande ministro della Pubblica Istruzione. Era Antonio Ruberti. É stato il primo e l'ultimo a mettere davvero mano sulla questione del precariato eliminando la figura degli assistenti e prevedendo per loro un nuovo iter per inquadrarli. Dopo quello il buio, il nulla. E comunque queste nuove norme non aiutano nessuno, neanche i rettori.
D. Eppure la figura del rettore ne esce fortificata.
R. Certo, ma mi dica come faranno i rettori a gestire un'università come la vuole la Gelmini? Gli atenei saranno in continuo subbuglio. Gli studenti saranno perennemente arrabbiati e i ricercatori, demotivati, smetteranno anche di supplire alle carenze dell'università.
D. Infatti i ricercatori sono le vere vittime della riforma.
R. I ricercatori sono nostri colleghi, il vero futuro degli atenei. Le nuove regole prevedono che ogni otto anni le università prenderanno i ricercatori per poi rottamarli a fine corsa. Che prospettive ci sono dunque? É ovvio che, come minino, salgono sui tetti.
D. A proposito di tetti, lei cosa ha fatto in questi giorni di contestazione? E cosa risponde a chi demonizza il movimento accusandolo di “sinistrismo”?
R. Si tratta di un'accusa infondata e di una forzatura. Rispetto alle contestazione del 68, per esempio, i gruppi che oggi contestano sono meno corporativi. Ma chi non vede futuro cosa deve fare? In questi giorni sono stato in contatto telefonico con i ricercatori di Architettura saliti sui tetti. Io poi ho quasi settanta anni, dove vuole che vada.
D. Inesperienza, inefficienza, dilettantismo, mancanza di visione politica o determinazione a demolire la scuola pubblica? Cosa vede lei dietro questa riforma?
R. La mia visione non è chiara e netta. Secondo me questa nuova legge rispecchia solo la tendenza, anzi la deriva che sta prendendo l'Italia. Il Paese non produce più nulla. Non facciamo ricerca, non costruiamo più niente, spingiamo all'estero i nostri ragazzi, dislochiamo le fabbriche. Siamo destinati solo a diventare i camerieri d'Europa. Questo è il nostro triste destino. E credo che questa riforma vada esattamente in questa direzione. C'è una classe politica disinteressata al futuro. E questi sono i risultati.

Giovedì, 02 Dicembre 2010